“I miei impegni professionali e familiari non mi consentono di andare oltre in questo sforzo e dunque, è mia intenzione, lasciare spazio a chi voglia e possa ancora cimentarsi nella ricerca di una gestione possibile”.
Le elezioni che confermano un seggio a Pittelli, questa volta alla Camera dei Deputati, sono datate 13 e 14 aprile 2008. Se la sera del passaggio di consegne Bove avesse opposto il suo fermo no, Pittelli, nella sua condizione di candidato prima e parlamentare poi, espressione dell’elettorato calabrese, avrebbe davvero lasciato morire il Catanzaro? Sarebbe stato un lusso che avrebbe potuto concedersi con gravissimo azzardo politico.
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La storia viaggia da anni su binari morti a Catanzaro. La letteratura in materia è talmente ricca e comodamente consultabile da rendere imbarazzanti gli episodi che ciclicamente si ripetono. Playoff disputati da polli, comunicati ufficiali scritti con inchiostro a fumo, perfino soci nuovi di zecca che agitano l’abusato spettro della destabilizzazione. Così le parole di Antonio Aiello oggi sono quelle di Gianni Improta ieri. Passi dal bancone e ti danno il solito drink. Annacquato. «Esprimo – dice Aiello in una delle ultime interviste rinvenibili sul web – tutta la mia amarezza per quello che sta avvenendo in città. Non riesco a comprendere se si tratta di tifosi che vogliono bene al Catanzaro, oppure di gente che vuole generare turbative».
Turbative. Il tema del maligno che si impossessa della stampa e/o dei tifosi. Brrrr. Catanzaro non si smentisce mai. Sei capace di prevedere ogni mossa anche a mille chilometri di distanza. Hai già visto questo spettacolo, ne conosci le battute, i silenzi, anche se gli attori talvolta (poco di frequente, in verità) si avvicendano.
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Non si accorgono, i protagonisti al volante, che le micro contestazioni, le petizioni popolari, i coraggiosi sit-in della canicola, le “turbative”, per dirla con parole loro, sono gli unici appigli rimasti prima del silenzio.
Perch̩ se cՏ una sola differenza da scovare nel giochino delle due immagini comparate, tra il Catanzaro di oggi e il Catanzaro del nuovo secolo, sta nella scarsissima affluenza di tifosi al Nicola Ceravolo durante la semifinale con il Pescina. Scarsa per gli standard dei playoff al vecchio Comunale.
Vuol dire che metà del popolo giallorosso non ci crede più.
L’altra metà sbraita, s’incazza, magari insulta, “turba”. Versa in uno stadio terminale della fede e prova disperatamente a salvarsi. Prova a non confluire nel cimitero dei tifosi.
Questa gente non merita calci in culo, non deve essere scacciata agli incontri, non va additata.
Evviva le turbolenze, ultimo sussulto di vitalità in una città in rianimazione. Vecchia, svogliata, rassegnata e priva di memoria.
Una platea che ha dovuto sadicamente sperimentare un nuovo inevitabile fallimento sportivo per guadagnare l’eclissi del dg Gianni Improta. Questa volta speriamo duratura. Anzi, meglio: permanente. In un altro contesto, chi tra i capipopolo aveva irresponsabilmente sponsorizzato il reintegro di Improta nel 2007, ne emulerebbe le gesta. Farsi definitivamente da parte, per amor di patria e per una rifondazione anche della tifoseria.