La domanda rimbalza in ogni cuore giallorosso, ma non ha il coraggio di uscire allo scoperto: è lecito sognare qualcosa di più dellâobiettivo salvezza? La risposta è sì. Lo sappiamo: forse qualcuno non sarà contento di questa nostra uscita e avrebbe preferito che avessimo mantenuto un profilo basso. Ma i dodici anni di C2 ci hanno insegnato che scongiuri, fohra gabbu e altre diavolerie servono davvero poco. La scaramanzia la lasciamo volentieri a Oronzo Canà perché pensiamo che nel calcio i risultati possono arrivare solo se si è in possesso di un requisito fondamentale: una buona squadra. Certo, non è garanzia di successo, ma senza questo requisito è inutile cullare sogni di gloria. Nel passato le ultime promozioni sono state figlie di una rosa ben costruita che ha divertito sui campi della C1.
Ritornando al presente: dopo anni di giocatori improponibili, il Catanzaro ha finalmente una squadra in grado di regalare emozioni ai propri sostenitori. Non solo, anche il timoniere (Piero Braglia) è allâaltezza del compito. Anzi, proprio la sua mano ha dato allâundici giallorosso una fisionomia ben precisa fatta di pressing a tutto campo, difesa alta e ben sincronizzata, esterni in grado di fare da pendolo, schemi per ogni momento importante della gara (corner e punizioni) e una grinta figlia della sua esperienza da giocatore. La ciliegina sulla torta si chiama Giorgio Corona, lâattaccante più forte che il Catanzaro abbia avuto da almeno tredici anni a questa parte.
Per tutte questi motivi pensare in grande non è un delitto. Lâimportante è che i giocatori continuino su questo sentiero fatto di sudore e fatica. Il rischio di un rilassamento è più che naturale soprattutto quando il calendario propone come prossimo avversario un derelitto LâAquila. Il calcio insegna molte cose e Roma-Lecce (una sconfitta che costò lo scudetto ai capitolini contro i pugliesi già retrocessi) non è una caso sporadico.
Quindi, da questo punto di vista, una partita come quella di domenica è assolutamente a rischio per il Catanzaro. Se vince, infatti, avrà fatto il suo âdovereâ, mentre una battuta dâarresto sarebbe salutata come una grande sorpresa. Siamo sicuri che al Ceravolo arriverà una squadra che si limiterà soltanto a difendersi, magari affidandosi a qualche contropiede. Tutti i bunker sono difficile da scardinare e il compito dovrà essere svolto con pazienza. La stessa che dovranno avere i tifosi oramai ben abituati dalle prestazione dei giallorossi. Intanto sarebbe auspicabile vedere 10.000 spettatori salutare una squadra seconda in classifica. Tre mesi fa eravamo ancora nellâinferno della C2, mentre adesso la serie B non è una chimera.
E câè un particolare non da poco: pensiamo sia più difficile vincere un campionato di quarta serie che non quello di C1. Ci spingiamo oltre: questa stessa squadra non avrebbe avuto vita facile in C2 e forse oggi saremmo gomito a gomito con la Palmese. Questo perché in campi come Melfi o Cava dei Tirreni non è certo possibile giocare come a Giulianova, dove trovi un avversario che accetta la sfida a viso aperto. La prova lâabbiamo avuta già con il Sora, ridotto con lâacqua alla gola, e a Paternò. Quindi non consideriamo la prossima sfida come una formalità . Anche la vicenda del sindaco con la vocazione da allenatore darà maggiore vigore alla formazione abruzzese.
In chiusura due considerazioni: il gesto di Corona (che non ha voluto battere il calcio di rigore) nei confronti di Biancone vale come un gol. In primis perché dimostra come questa squadra sia unita (i clan non abitano al Ceravolo) e poi è un giusto premio per un giocatore (Biancone) che dalla panchina sta dimostrando di avere voglia e grinta per contribuire in modo importante alla causa del Catanzaro.
La seconda nota riguarda Folino e Ascoli: sono due giocatori âcatanzaresiâ e per questa maglia farebbero di tutto. Possono essere il valore aggiunto di una squadra costruita per vincere il campionato di C2 e che ora fa gonfiare di speranze sopite i cuori della tifoseria giallorossa.
Via libera ai sogni, ma le aquile non sottovalutino L’Aquila
L’editoriale di Francesco Ceniti