Ennesima svolta nelle indagini sulla morte della collaboratrice di giustizia, Lea Garofalo. Carmine Venturino, ex fidanzato della figlia di Lea Denise Cosco, ha scritto dal carcere in cui si trova, per riscrivere la storia della morte di Lea, rapita nel centro di Milano il 24 novembre 2009, uccisa e bruciata in un capannone alla periferia di Monza. Il pentimento del giovane di 34 anni, a suo dire, è legato al coraggio mostrato da Denise. In primo grado a fine marzo furono assegnati sei ergastoli l’ex compagno di Lea e padre della ragazza Carlo Cosco, legato alle ’ndrine di Petilia Policastro, Crotone, insieme ai fratelli Vito e Giuseppe, a Rosario Curcio, a Massimo Sabatino e allo stesso Venturino.
Tra breve ci sarà l’appello e le dichiarazioni di Venturino sono destinate a pesare visto che lui stesso si è accusato dell’omicidio. È stato lui a indicare ai carabinieri, ormai mesi fa, il terreno smosso in via Marelli a San Fruttuoso, tra Cinisello Balsamo e Monza, sul quale sono stati riversati i resti di Lea. La donna fu legata, torturata per sapere cosa avesse rivelato agli inquirenti sui traffici dei Cosco, per poi essere strangolata, il corpo chiuso in un bidone e dato alle fiamme.
Nelle lettere scrive di essere stato costretto a compiere l’omicidio per “la legge che vige in Calabria”, anche se ribadisce di non essere “un mafioso, non sono un mostro”. Sottolinea, poi, l’esistenza di “testimonianze false”, come quella della sparizione del corpo della donna sciolto nell’acido.
Sono state le radiografie dei denti a confermare definitivamente che i resti trovati sono quelli di Lea Garofalo, anche se già il ritrovamento della collana di maglia d’oro piatta sul luogo, aveva lasciato pochi dubbi. Carmine che ha cominciato a scrivere in estate e che in principio ha chiesto di restare tra i detenuti comuni, oggi è sotto protezione ed è avviato sulla strada di Denise.