Sull’intervento di Ferrara

la posizione di Cz nel cuore, rceviamo e pubblichiamo

La laicità dello Stato è un valore. Il laicismo anticattolico è una iattura.

L’idea che Giuliano Ferrara ha lanciato dalle pagine del suo giornale di una moratoria sull’aborto ha il merito d’avere innescato una discussione notevole. Si tratta infatti di un tema molto delicato perché riguarda la vita di esseri umani alla stregua di un’altra discussione attuale, quella sulla pena di morte. Ma, come spesso accade nel nostro Paese, tali argomenti finiscono stupidamente per riproporre uno scontro fra guelfi e ghibellini con i soliti insulti alla Chiesa. In realtà, e dal momento che l’oggetto del contendere è la questione antropologica del diritto alla vita, è per lo meno meritorio l’intento di tenere alta l’attenzione su tali questioni che, anziché dividere, dovrebbero unire laici e cattolici. D’altronde  la 194 è una legge che ha trent’anni alle spalle e quindi non può essere considerato oltraggioso nemmeno per il più laicista dei laicisti pensare ad una sua rivisitazione alla luce del progresso tecnologico in ambito medico, anche se un ottimo risultato potrà essere già ottenuto concentrandosi sui punti in cui la legge non è stata applicata e sui progressi scientifici che permettono di attuarla meglio.

Quando si tratta di difendere la vita e la dignità umana il confronto dovrebbe essere alto e ben accetto. Invece persino l’idea lanciata dall’ateo Ferrara finisce col provocare le rimostranze e le offensive dei soliti anticlericali che si esercitano nel solito attacco alla Chiesa con la solita invocazione della laicità dello stato che rivendica il metodo di una supposta libertà: tutto questo tradisce un radicalismo laicista che vorrebbe mettere il bavaglio alla Chiesa e quindi rinnegare quel metodo di libertà di cui i laicisti si riempiono la bocca credendo d’esserne i paladini, senza accorgersi invece di essere scivolati nel libertinaggio. Parlano di offensiva della Chiesa, di invasioni di campo, ma non si accorgono in realtà che l’attacco senza precedenti è proprio la Chiesa a subirlo. Si invoca la laicità dello Stato, fra l’altro già presente e già consolidata, ma poi si sconfina nel laicismo. Qualcuno ha ricordato nei giorni scorsi che già nel 1998 la Corte Costituzionale affermò che il principio supremo della laicità dello Stato è uno dei profili non rinunciabili, non modificabili neppure con il procedimento di revisione costituzionale. Sacrosanto. Altrettanto sacrosanto è però riconoscere l’esistenza di valori che non sono modificabili da nessuno, che rappresentano la vera garanzia della nostra libertà e della grandezza umana; oggi quasi nessuno negherà esplicitamente la precedenza della dignità umana e dei diritti umani fondamentali rispetto a ogni decisione politica. Ma nell’ambito concreto del cosiddetto progresso della medicina ci sono minacce molto reali per questi valori: se pensiamo alla clonazione, se pensiamo alla conservazione dei feti umani o se pensiamo a tutto l’ambito della manipolazione genetica, la lenta consunzione della dignità umana che qui ci minaccia non può venir misconosciuta da nessuno. La vita in quanto tale e altri valori come la famiglia, oggi sono pericolosamente minacciati. Di fronte a queste “sfide” perché la Chiesa dovrebbe tacere? Essa si comporta con grande saggezza e serietà, spesso arriva fra i bisognosi laddove lo Stato è assente; eppure c’è ancora un filone ideologico di antipatia per il Cattolicesimo, quasi una moda, che pregiudica la comprensione di un dibattito pacato e sereno. C’è addirittura chi propone di espungere la religione dall’orizzonte antropologico perché falsa, pericolosa per l’uomo e per la società.  A che serve allora riempirsi la bocca di parole quali tolleranza e libertà se poi, per qualcuno, queste virtù debbono essere esercitate nei confronti di tutti ma non nei confronti della Chiesa? E’ ormai diventato troppo frequente ascoltare chi, in nome di una supposta libertà, incoraggia l’omosessualità o l’omicidio di individui ancora nel grembo della madre, ma non riconosce uguale libertà a chi difende i valori della vita e della famiglia. Sturzo diceva bene quando affermava che “senza la morale, la libertà precipita nella licenza e a lungo andare una società che non considera come un valore fondamentale, essenziale, l’integrità morale dei suoi protagonisti, è destinata a crollare”.

Probabilmente ci troviamo di fronte ad un grosso fraintendimento del concetto di “bene comune”, e quindi si palesa la necessità di ridefinirlo.  Richiamarsi alla Costituzione, per quanto certamente valida nei suoi principi fondamentali, non sarà sufficiente per affrontare questo passaggio. Dobbiamo innanzitutto lasciarci alle spalle una concezione del “bene comune” inteso come somma di beni individuali per mettere in luce il fatto che il “bene comune” è invece costituito dalla relazione di scambio fra soggetti sociali quando essi operano in base ai principi del primato della persona umana, della sussidiarietà e della solidarietà. Il “bene comune” è qualcosa di indivisibile perché solo assieme è possibile conseguirlo; essendo comune, non riguarda la persona presa nella sua singolarità ma in quanto relazione con gli altri. La crisi che si nasconde dietro l’equivoco sul “bene comune” è, forse, la deriva individualistica e relativistica che la cultura occidentale ha imboccato. Il venir meno di un’etica comune ha dato perciò la stura al moltiplicarsi delle differenze negli interessi e nella concezione del bene. Ad esempio la Spagna sta affrontando il tema della poligamia. Dove andremo a finire?

In tal senso Giuliano Ferrara non ha semplicemente innescato una discussione sulla legge 194, ma su un concetto ben più vasto che riguarda la convivenza civile e la libertà di espressione di tutti. Cattolici compresi.

Fabio Lagonia
Movimento Civico “Catanzaro Nel Cuore”

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