Sotto i riflettori del vecchio, stuprato, monco ma pur sempre nostro “Ceravolo”, stasera prenderà il via un’altra stagione dell’Us Catanzaro. Su queste pagine lo sosteniamo da tempo: non è mai soltanto calcio. Lo abbiamo detto quando la squadra per cui tutti tifiamo se ne stava in qualche aula di tribunale, lo ripetiamo ora in tempi tranquilli, mentre una proprietà finalmente normale programma il riscatto sul campo.
Non abbiamo idea della misura né del modo in cui le esperienze quotidiane e le emozioni di ognuno di noi si intrecceranno con questa minivita vestita da campionato di calcio, ma sappiamo che accadrà ancora una volta. Inspiegabilmente, ogni domenica, le nostre esistenze saranno attratte e influenzate dagli appuntamenti di una squadra che in maglia giallorossa correrà per i campi di mezza Italia.
Programmeremo trasferte a Pontedera, Gubbio e Grosseto spacciandole per viaggi irrinunciabili. Chiederemo permessi, fingeremo malattie, sprecheremo ferie, faremo il conto dei risparmi soltanto perché dei ragazzi sotto i trent’anni, in un dato giorno, giocheranno per tre punti.
Nessuno sa esattamente ciò che accadrà, al Catanzaro di questa nuova stagione o alle nostre vite di sempre. In ogni caso, ce la giocheremo. Lo faremo – ed è questo ciò che vogliamo più di ogni altra cosa -con lo spirito che fu delle grandi squadre di Nicola Ceravolo: sudando, faticando, correndo più degli altri, fino a cadere stremati per terra.
Il successo comprato a suon di milioni non ci appartiene, né probabilmente ci apparterrà mai; bisogna farsene una ragione. Non verrà uno sceicco sui tre colli (le rotte degli affari , quelli veri, saltano a piè pari le nostre latitudini), nessun oligarca trasferirà i propri milioni da qualche impresa mineraria direttamente sul conto delle Aquile. Ogni traguardo, per essere raggiunto, dovrà essere conquistato a fatica.
La nostra storia è una di quelle storie costruite giorno dopo giorno, ed è una delle poche storie presentabili di una Regione in cui alla straordinaria ricchezza della natura fa spesso da contraltare la struggente povertà degli uomini. Essere orgogliosi della storia dell’Uesse Catanzaro significa presentarsi al mondo come calabresi testimoni di valori precisi. Valori non negoziabili, incompatibili con quelli di chi alla gestione del potere ha fatto l’abitudine.
Noi crediamo in ciò che rese grande una squadra di calcio. Crediamo nella fatica, nel merito, nel talento purissimo espresso anche in gesti apparentemente secondari (un calcio d’angolo magari). Crediamo al sacrificio e al premio che ne segue.
Ed è proprio questo, forse, che spaventa il potere costituito. Un’idea come quella rappresentata dal Catanzaro è potenzialmente rivoluzionaria in questa periferia del mondo.
Il Catanzaro è molto più di una squadra di calcio e i suoi tifosi dovrebbero sentirsi molto più che sostenitori. Dovrebbero immaginarsi carbonari, illuminati perseguitati da forze conservatrici e oscurantiste. I cinque milioni fasulli, i politici arruffoni e incapaci, le amministrazioni indegne, le società spartane, i tesserati indefinibili solo le diverse facce dello stesso nemico.
Buona parte di chi sostiente il Catanzaro vive lontano dalla città che a questa squadra ha dato nome e spirito. C’è chi lontanissmo vive in Giappone, India, Stati Uniti. Chi più vicino sta nel nord e centro Italia.
Vi risparmo la retorica dell’ emigrante -partire per lavorare, progredire o semplicemente sopravvivere è da sempre all’ordine del giorno-ma una cosa, a chi stasera siederà sulle plastiche gialle o rosse del Ceravolo bisogna dirla: partecipate anche per tutti gli altri.
Affollate lo stadio in onore delle centinaia di storie di chi da quell’impianto magico e disperato sarà distante mille miglia. Urlate -per il teatro ci saranno altri appuntamenti- imprecate, cantate, fischiate e applaudite fino a non poterne più. Squarciate questa notte calabrese, questa lunghissima notte calabrese. Chissà che domani non sia migliore.
Buona minivita a tutti.
Fabrizio Scarfone
@fabriscar