Creare lavoro attraverso la formazione di operatori specializzati negli inserimenti lavorativi, aumentare la consapevolezza delle persone con sindrome di Down sulle proprie potenzialità di futuri lavoratori e sensibilizzare le aziende presenti sul territorio.
È questo il senso del nuovo progetto “Lavoriamo in rete – percorsi di inserimento lavorativo nei territori del Sud”, iniziato a gennaio, della durata di 18 mesi, realizzato dall’Associazione Italiana Persone Down e finanziato dalla Fondazione Con il Sud.
Il progetto – spiega una nota – coinvolge 13 operatori e 13 sezioni AIPD (35 persone con sindrome Down e 35 famiglie), sei regioni nel Sud Italia e le due Isole (Bari, Caserta, Catanzaro, Cosenza, Foggia, Lecce, Matera, Milazzo-Messina, Napoli, Oristano, Potenza, Reggio Calabria, Termini Imerese). Nella sezione AIPD di Catanzaro saranno coinvolte 2 persone con sindrome di Down e una operatrice della sezione.
Il progetto prevede consulenza, informazione e formazione in presenza (incontri di formazione per familiari, percorsi di orientamento e formazione per giovani con sindrome di Down) e a distanza (tramite corso online e telefono), azioni di sensibilizzazione del mondo aziendale/istituzionale e monitoraggio e tutoraggio in situazione e l’avvio di nuovi servizi di inserimento lavorativo (SIL) presso le sezioni che ne sono sprovviste. Verrà inoltre creato un database online di raccolta dati dei potenziali lavoratori e delle aziende dei territori coinvolti.
“Tali azioni – spiega Monica Berarducci, responsabile dell’Osservatorio sul mondo del Lavoro di AIPD e ideatrice del progetto – coinvolgeranno direttamente le organizzazioni partecipanti rendendole protagoniste, con l’obiettivo di potenziare la rete delle sedi AIPD presenti nel Sud e le Isole e creare poli regionali per l’impiego, scardinando il pregiudizio che consiste nel pensare che l’inserimento lavorativo delle persone con sindrome Down è solo un’opportunità “occupazionale” o terapeutica, quindi un peso per l’impresa e non un contributo alla produttività aziendale. Importante anche il lavoro sulle famiglie, che per prime concepiscono ancora il proprio figlio come un bambino o il suo inserimento lavorativo come un modo per occupare il ‘tempò, con un atteggiamento assistenziale ed iperprotettivo che limita l’acquisizione dell’identità adulta/lavorativa e l’emancipazione in generale”.