Serie Bevute per Torino – Catanzaro

Torino e le sue bellezze viste da Nicolò Ditta

La trasferta più lunga dell’anno si presenta: 1.246 Km di pura passione.

Questo è quanto scrivevo in occasione della splendida trasferta di Trieste, e questo è quanto scrivo oggi per questo appuntamento.
La sabauda capitale del Regno d’Italia ci aspetta placidamente adagiata sulle rive del Grande Fiume.

Forse la trasferta più affascinante della B. Anche qua s’è “fatta l’Italia”. Tanta storia è passata sotto i ponti del Po, tante cose ci sarebbero da raccontare, da studiare, da scoprire, ma il tempo è poco, e la partita incombe.
Per parlare dei vini e della gastronomia Piemontese ci vorrebbe un trattato e non certo un articolo come questo. Torino capitale dell’abbondanza e dell’opulenza, così come lo sono i suoi cibi e i suoi vini.

Se siamo appena arrivati in città ci trasferiamo subito in centro e ci gustiamo una colazione in uno degli splendidi bar che si aprono sotto i portici. Un inno alla gioia degli occhi e dei buon gustai! Preparatevi a passare un’esperienza difficilmente ripetibile.
Il ristorante sarà l’ultima tappa di un viaggio per la città. Se il tempo sarà clemente, penso che sia questo il periodo più bello per visitare la città e per gustare i piatti della tradizione.
La gastronomia piemontese è forte, gagliarda, combina l’aria frizzante della mattina con le brume che si levano dai fiumi, di camini accesi e fredde giornate.

Da dove cominciare, se non dal regale tartufo? Il profumo e l’aroma che sprigiona sono inconfondibili e ammalianti per gli amatori. Affettato sottilmente su un risotto o sui “tajarin” che è l’unico piatto di pasta autoctono della regione, ma anche sulle uova. Il tartufo bianco, tipico da ottobre a dicembre, è un ideale condimento.
Il suo parente più prossimo è il tartufo nero, che si mangia da gennaio a marzo, dal sapore più forte e meno aromatico, è invece un complemento dei piatti, si accompagna divinamente a pesci carni e verdure dandogli una nota di sapore inconfondibile.
È un’esperienza da fare, costosa ma da fare!!!

Altro primo piatto tipico sono gli agnolotti, rigorosamente in brodo per i tradizionalisti, conditi con burro e salvia per i modernisti. Questa distinzione tra tradizionalisti e modernisti la ritroveremo anche in seguito. E chiudiamo con il riso. Di cui la regione è la patria.
Se c’è una cosa che invidio, al nord sono proprio i risotti. Lo considero un piatto completo e appagante. Il risotto lo possiamo trovare in bianco con gli asparagi o con le rane o con castelmagno; o rosso col barolo.

Finiamo con una salsa, la “bagna cauda” che si pronunzia “caoda”. Nata dall’unione dei prodotti di due regioni.
Si prepara pestando l’aglio nel mortaio (200 grammi). Si lavano le acciughe (200 grammi), si sciacquano e si asciugano. Si mette l’ olio (250 grammi) in un tegame di coccio resistente al fuoco. Si cuoce a fuoco basso mescolando di continuo fino a che le acciughe non saranno completamente disfatte e l’ aglio sarà cotto. Si fa bollire il condimento senza farlo friggere. Si aggiunge il burro (40 grammi), e si mescola finché sarà sciolto e portare in tavola.
La bagna cauda viene messa in tegamini di coccio scaldati da piccoli fornelli che vengono posti sul piatto di ogni persona. Viene solitamente servita con verdure crude e cotte, le più utilizzate sono: peperoni, insalata, verza, carote, cardo, radicchio, porro, patate cotte al vapore, cipolle al forno, peperoni abbrustoliti, scarola, cavolfiore lessato, barbabietola, cipollotto.

È un rito che va avanti per tutta la sera seduti intorno al fuoco del camino: rigorosamente vietato baciarsi dopo!!!

Ma lasciamo gli scherzi e torniamo a tavola per i secondi, il piatto principe è il bollito misto con le sue salsine.
Non dobbiamo dimenticare la finanziera, il cui nome deriva da quello della giacca usata dai banchieri dell’800 e che potremmo definire quasi il “morzello del Piemonte”, si prepara con creste e bargigli di posso, animelle di vitello fegatini di pollo filoni di vitello porcini burro, vino bianco, marsala secco e un po’ di fondo bruno.
Provare per credere, non dimenticando comunque gli splendidi brasati al barolo, la cacciagione e tutti gli animali da fattoria allevati nelle corti delle case contadine

Un cenno meritano anche le verdure, sia gli asparagi, sia gli splendidi peperoni di Carmagola, patria natale del buon Mauro Briano che, pur in trasferta, si sentirà un po’ anche a casa.
E concludiamo con formaggi e salumi. Impossibile elencarli tutti, proviamo solo a citarne qualcuno: Formaggi a pasta semi-dura: Bra, Castelmagno, Raschera
Formaggi a pasta molle: Gorgonzola, Taleggio, Toma Piemontese
Formaggi freschi: Murazzano, Robiola di Roccaverano.
Per non parlare dei salumi (specie quelli al barolo N.d.R.).

E finiamo con i dolci.
Il cioccolato gianduia merita un posto d’onore, così come l’omonima torta. I superbi marroni che glassati danno vita ai “marron glacès”, vero tripudio ed estasi, passando
La nocciola tonda e gentile del Piemonte con tutti i dolci che ne derivano, il Torrone d’Asti, le Pesche ripiene, i Gianduiotti, i Krumiri, i Baci di dama, gli Amaretti, le Lingue di suocera, i Cuneesi al rhum e chi più ne ha più ne metta!!!

Il Re dei vini il vino dei Re!!!

Questo il nome con cui si chiama il Barolo, Sua Maestà.
Il più grande vino italiano, un monumento al lavoro dei campi che tutto il mondo ci invidia e che non potrà mai avere.
Non posso elencare tutti i nomi dei produttori perché sono una marea, ma dico giusto due parole. Anche qui si sfidano tradizionalisti e innovatori (lo avevo detto prima).

il nebbiolo è un’uva che ha pochissimo colore, ma ha dei tannini capaci di uccidere un toro!

I tradizionalisti, o puristi se preferite, sono quelli che fanno il barolo secondo tradizione. Ovvero messo ad invecchiare non nelle moderne “barrique di rovere” di origine francese, ma nelle tradizionali botti grandi di castagno tipicamente italiane.

La differenza c’è ed è notevole, nelle prime il vino invecchia e prende dal legno tutta una serie di profumi e sapori che lo contraddistinguono al punto che quando ne esce (in questo caso dopo 3 anni N.d.R.) ne risulta completamente cambiato, nelle botti grandi di castagno (la dimensione è di 225 litri per le barrique, e 30/50 ettolitri per le botti grandi) il vino non “invecchia”, ovvero non cambia così come fa nelle barrique.

Il risultato è che il barolo fatto in barrique è morbido, pronto, facile da bere, e bevibile e soprattutto “vendibile” dopo pochi anni dall’uscita in commercio. Il barolo tradizionale lo bevi dopo 30 anni almeno, o i tannini ti strappano via i denti e il palato. Non voglio denigrare gli uni in favore degli altri. L’importante è che il barolo sia fatto bene.

Dalla stessa uva (il nebbiolo) deriva l’altro principe della enologia piemontese, il Barbaresco. I vini prendono i nomi dai comuni in cui tradizionalmente si coltivano.
Aristocratico ed elegante ha una sua nutrita schiera di ammiratori.
Ma il panorama non si ferma qua, si continua con Asti o Asti Spumante Brachetto d’Acqui Barbera d’Alba, d’Asti e del Monferrato; le Colline Novaresi; il Cortese dell’Alto Monferrato; Coste della Sesia; i tanti Dolcetto d’Acqui, d’Alba, d’Asti, delle Langhe Monregalesi, di Diano d’Alba, di Dogliani e di Ovada; l’Erbaluce di Caluso; la Freisa d’Asti; il Grignolino d’Asti Grignolino del Monferrato; il Gattinara; il Gavi o Cortese di Gavi; il Ghemme; il Langhe; la Malvasia di Casorzo d’Asti Malvasia di Castelnuovo Don Bosco; Roero e Roero Arneis; Ruchè di Castagnole Monferrato…
E questo solo per fare un elenco parziale(!!!).

Le uve principe della regione sono il nebbiolo da cui discendono non solo, come detto, Barolo e Barbaresco, ma anche il Gattinara e il Ghemme.
Accanto a queste abbiamo la Barbera e il Dolcetto che rappresentano l’ultima frontiera dell’enologia piemontese, ma anche la Bonarda e tante altre ancora.

Voglio fare un’unica critica. Il Piemonte è patria di superbi vini rossi ed intriganti vini dolci, si pensi al Moscato d’Asti, al Brachetto o al più particolare barolo chinato.

La nota dolente sono i bianchi, non tutti per fortuna, ma in molti casi i produttori piemontesi producono bianchi che passano in legno, ovvero che invecchiano per un certo periodo nelle barrique.
Questo snatura il vino bianco perché gli toglie quella vena acida che è tipica e caratteristica di questi vini.
A volte si esagera e, mi duole dirlo, dovrebbero prendere ad esempio dai produttori francesi che la barrique la sanno usare.

Io mi fermo qua. Vorrei scrivere tante ma tante altre cose e non c’è il tempo.
L’unico consiglio che posso darvi è di scoprire queste persone questa terra e questi sapori. Per me è stato amore!

Ma ora brindiamo, in alto i calici e buona …Serie Bevute!!!

Nicolò Ditta

Per informazioni richieste critiche o suggerimenti, tranne soldi o bottiglie di vino, scrivetemi pure a uctrapani@uscatanzaro.net

Autore

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