Slow Foodball

Serie B…evute per Perugia – CATANZARO

Un viaggio nella cittadina umbra con Nicolò Ditta

Se la vita è un cerchio, lo sarà anche questa trasferta. Abbiamo cominciato la nostra avventura in serie B in Umbria nel ritiro estivo di Nocera, e probabilmente sarà questa la trasferta che ci condannerà alla matematica retrocessione. Ma non è il caso di pensare alle cose brutte. La trasferta ci attende, e ci attende anche la nostra bella tavola imbandita, in questo week-end di maggio quando i primi caldi si fanno sentire.

Per anni l’Umbria è stata praticamente ignorata dalla massa di turisti e dai ricercatori di prelibatezze eno-gastronomiche. Troppo vicina all’ingombrante presenza della Toscana. Sembrava quasi potesse considerarsi la “Toscana dei poveriâ€.
Oggi non è più così. Da una decina di anni a questa parte la regione ha perso l’etichetta di meta di pellegrini, ed ha assunto la veste a lei più consona di regione più economica per un turismo di nicchia. Quel turismo che aveva lasciato la Toscana per via dei prezzi esorbitanti di ogni genere di bene legato al turismo.
In questo l’economicità dell’Umbria ha giocato un ruolo decisivo. Si è imposta prima come meta a buon prezzo poi, una volta scoperto che la regione sa regalare panorami incredibili e un’atmosfera più raccolta, più familiare, più rustica, la si è apprezzata fino in fondo ed è stata invasa.

So che non c’entra niente, ma mi tornano in mente le scene del bellissimo “Mediterraneo†di Tornatore. L’isola su cui gli Italiani combattevano era quasi un posto sperduto e dimenticato da Dio e dagli uomini; ma quando alla fine del film un vecchio Abbatantuono ritorna sull’isola, lo stacco con la realtà attuale, una realtà di turismo di massa, traghetti mastodontici e moto d’acqua cozzava con gli scarni e spogli paesaggi della prima parte del film.
Sono due mondi enormemente lontani, e un paragone non è neanche corretto, ma l’invasione subita dall’isoletta greca nel film, e quella subita dall’Umbria è pressappoco simile.
Il papero nero che si riscopre cigno.

Un fine settimana in uno degli agriturismi sorti come funghi è un’ottima idea, soprattutto se rapportata ai prezzi ancora abbastanza contenuti delle varie strutture.
Ma sediamoci a tavola e ordiniamo il pranzo. Ingredienti semplici e naturali sono alla base di una gastronomia che resta legata alle sue tradizioni.
Una gastronomia che ha comunque conservato una sua identità anche a fronte di quella Toscana.
La cucina umbra è fatta di ricette povere e popolari, è una cucina fortemente locale che richiede, anzi esige, i genuini prodotti della sua terra.
Le ricette, realizzate secondo antiche tradizioni, vengono tramandate di generazione in generazione nella preparazione non solo dei cibi del giorno di festa, ma anche nella preparazione del cibo quotidiano che resta.

La carne è l’ovvia protagonista delle tavole umbre, e viene cucinata con metodi semplici per non alterarne il sapore. Le cotture più utilizzate sono, ovviamente, la griglia e lo spiedo, che permettono di insaporire le carni con aromi che ne esaltano il sapore.

L’antipasto è finito e la fame si sarà sicuramente placata, passiamo ai primi.
A questo punto entra in scena sua maestà il Tartufo Nero di Norcia. C’è una differenza tra il delicato Tartufo Bianco d’Alba, e il Tartufo Nero di Norcia. Il primo è condimento, il secondo è alimento. Questo il pensiero di un maestro della cucina italiana, Gualtiero Marchesi.
E in fin dei conti è così. Il tartufo bianco lo metti per l’aroma più delicato, il nero per il sapore sicuramente più forte e pungente.

A parte le paste fresche in cui il tartufo la fa da padrone, c’è un interessante abbinamento tra gli Strangozzi (tipica pasta umbra di sola acqua e farina simile ai maltagliati) con la Trota e il Tartufo Nero. È un piatto particolare che merita un abbinamento altrettanto particolare. Potrei azzardare o un grande Chardonnay, ma anche un grande “Grechetto†(tipica uva della zona che in qualche caso dà ottimi risultati) che hanno fatto molto legno; oppure un rosso non invecchiato, ma con una buona nota alcolica e speziata al naso, e una giusta morbidezza. In questo senso escluderei sia lo Sirah, sia il Cabernet Franc piuttosto che il Cabernet Sauvignon, che sono un po’ troppo “verdi†ed erbacei per questo piatto.
Potrei proporre un vitigno, il Pinot Nero. È un vino generalmente amarognolo nel finale, ma se fatto fermentare alle giuste temperature e facendo un leggero passaggio in legno, potrebbe essere un ottimo abbinamento. In questo caso penso, però, a un vino dell’Alto Adige piuttosto che dell’Umbria. Se vogliamo rimanere nella regione, allora possiamo pensare a un Sangiovese o un Merlot che in questa regione hanno trovato un ottimo habitat. Oppure, se vogliamo rimanere ai vitigni autoctoni, a un Sagrantino di Montefalco giovane e non eccessivamente invecchiato.

Passiamo ai secondi. Possiamo dividerli in due grandi famiglie: i piatti con e senza tartufo nero.
In questo abbiamo la divisione ben netta della cucina tradizionale. Tra i primi possiamo trovare il filetto, la deliziosa frittata e l’agnello.
Tra i secondi troveremo: gli spiedini misti, il pollo alla griglia o alla cacciatora, qualche piatto di carni particolari come la lepre, il coniglio o il cinghiale (e in questo ricordiamo anche il prosciutto di montagna tipico della zona).

Direi che sono più che sufficienti per la nostra fame (magari non sfamerebbero la nostra fame di vittorie, ma quella di cibo probabilmente si).
Anche in questo caso l’abbinamento d’obbligo è un grande rosso della tradizione. E non posso non citare il famoso Sagrantino di Montefalco. Riscoperto e rilanciato qualche decennio addietro da uno storico viticultore della zona, è diventato oggi uno dei simboli dell’Italia enologica.

Il Sagrantino è un vitigno autoctono che cresce solo nella zona di Montefalco, e che non ha alcuna parentela o legame con altre uve a bacca rossa tipiche del centro Italia.
Un vino di grande impatto e grande struttura che regge bene l’invecchiamento. Sembrerebbe un vino perfetto ma ha un difetto. Le bottiglie più famose hanno prezzi fuori da ogni logica. Soprattutto per vini che fino a quindici, venti anni fa erano praticamente sconosciuti al pubblico.
Se un produttore ha tradizioni centenarie posso anche capire un prezzo adeguato, ma non per tutti.

Chiudiamo quindi il doloroso capitolo dedicato al prezzo dei vini, per passare ai dolci.
Pensiamo ai dolci secchi, alle crostate di marmellata, e a questi cosa possiamo abbinare se non un Vin Santo…
Il nome deriva dal fatto che il travaso del vino dopo la fermentazione avveniva, tradizionalmente, in concomitanza con la pasqua. È un vino che regge molto bene l’invecchiamento e che dura per anni e anni. Ha una particolarità, lo si può tenere abbastanza tranquillamente in frigorifero dopo la sua apertura, per via della sua alta ossidazione. Un po’ come il Marsala.

E visto che siamo arrivati al dolce… brindiamo!!!
In alto i calici e buona Serie B…evute

Nicolò Ditta

Per informazioni critiche consigli o richieste, tranne soldi o bottiglie di vino, scrivetemi pure a uctrapani@uscatanzaro.net

Autore

Massimiliano Raffaele

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