Secondo itinerario del vino per il prossimo incontro dei giallorossi. Andiamo giù, nel profondo nord in quel di Bergamo.
Lâaggettivo per descrivere il bergamasco è: âgran lavoratoreâ. Una persona forse un poâ chiusa e introversa, ma una persona che persegue con tutte le sue forze il traguardo, lâobiettivo che si è prefisso e cerca di raggiungerlo in tutti i modi e con tutte le sue forze.
Una persona taciturna e tenace che non si accontenta, una volta raggiunto un traguardo, ne cerca sempre uno successivo.
Tempo fa mi dissero dei bergamaschi che lâunico loro intento era quello di lavorare per mettere da parte soldi per comprarsi lâidromassaggio o la macchina bella o il vestito o il gioiello. Tutto il loro lavoro era finalizzato ad acquistare oggetti da mostrare come âvantoâ agli amici.
Non so se questo sia vero perché non ho conosciuto direttamente dei bergamaschi, ma di sicuro la tenacia non gli manca.
Ed è proprio da qui, dalla loro enorme forza di volontà , che dobbiamo partire per capire i loro vini e il rapporto degli orobici con il prodotto della loro terra.
Un merito a chi, negli anni settanta, e in pieno Boom economico del paese, di fronte a una continua fuga dalle campagne verso la più remunerativa e meno faticosa industria stava per far scomparire il loro vino più conosciuto.
Lâinversione di tendenza in quel caso è partito dal âbassoâ, ovvero dalla cantina sociale che ha cercato di rivalutare il vino più diffuso della zona valorizzandone i pregi e correggendo i difetti.
In questo si vede lâanimo e la tenacia di chi si rimbocca le maniche e, lavorando sodo e in silenzio, salva la propria creatura.
In questâottica dobbiamo vedere le sperimentazioni fatte con vitigni internazionali in luogo degli autoctoni, e di corretto bilanciamento degli uni e degli altri.
Forse non vedremo mai un Valcalepio rosso prendere i 99/100 di âWine Spectatorâ, ma di sicuro lâeffige del Colleoni (condottiero Bergamasco), che campeggia sulle bottiglie è il simbolo della rinascita di quel vino, ed è per loro il premio più grande. E per me un risultato del genere vale molto di più di tante medaglie.
Il Valcalepio prevede, così come prescrive il disciplinare, due tipologie: il Bianco e il Rosso.
I vitigni in questo caso sono internazionali: Merlot e Cabernet per il Rosso, Pinot Bianco e Pinot Grigio per il bianco.
In un secondo momento si è inserita una terza tipologia, ovvero la âriservaâ che solitamente denota i vini che subiscono un invecchiamento più lungo di quello normalmente fatto dal vino âbaseâ.
Infine si è aggiunta una quarta tipologia che è il Valcalepio Moscato Passito ottenuto da uve Moscato di Scanzo.
Piccola notazione sui termini. Se il vino è fatto da uve di una sola qualità allora si parla di âvitignoâ cioè un vino che deriva da un solo vitigno. Se il vino è fatto da uve di due o più qualità , allora si parla di âuvaggioâ cioè assemblaggio di uve in percentuali diverse. Chiusa parentesi.
Riguardo lâinvecchiamento, il vino subisce due processi: lâinvecchiamento che normalmente si fa in botti di legno (le tanto famigerate Barriques e le altre), e si parla di affinamento quando il vino dopo aver maturato in botte di legno, passa un periodo di tempo in bottiglia prima di essere messo in commercio.
Normalmente per la versione riserva si richiede non solo un invecchiamento maggiore, ma anche un grado alcolico maggiore.
Il vino che ci aspettiamo di trovare nel bicchiere, per la versione rossa è un vino che non ha un grandissimo corpo, ma mediamente delicato, una acidità abbastanza contenuta ma che si fa sentire, e un naso molto fresco e fruttato con tipiche note di ciliegia e marasca.
Il bianco prende le caratteristiche dai vitigni che lo compongono e sarà di un colore giallo paglierino con tenui riflessi che tendono al verde oro. Un profumo fine e delicato che ricorda la mela golden e delicati fiori di glicine. Tutti sentori che ci danno lâidea di un vino che non ha grandissima acidità , molta morbidezza e una bella rotondità .
Attenzione a non confondere âmorbidezzaâ con âdolcezzaâ e âdolcezza dei profumiâ.
Un vino è Secco: Se non si percepisce la sensazione di dolcezza. Si tratta di vini con residui zuccherini compresi tra 1-5 g/l, quantità che, al più, può concorrere a determinare una certa âmorbidezzaâ (vedi sotto ndr).
Abboccato: si percepisce una leggerissima sensazione di dolcezza. Sono i vini che contengono da 10 a 20 g/l di zuccheri residui.
Amabile: si percepisce chiaramente la sensazione di dolcezza, anche se non è predominante. Sono i vini che contengono da 20 a 50 g/l di zuccheri residui.
Dolce: predomina la sensazione di dolcezza. Può contenere da 50 a 100 g/l di zuccheri residui, come si verifica nei vini dolci frizzanti naturali da dessert, come il Moscato dâAsti, il Brachetto d’Acqui e altri o, addirittura, da 100 a 160 g/l di zuccheri residui, come avviene in quelli passiti o liquorosi.
La âdolcezza dei profumiâ è invece una sensazione che si prova odorando il vino. Significa solamente che i profumi sono delicati, non aggressivi o pungenti. Un tipico esempio è il vino novello che ha unâestrema morbidezza di profumi.
La morbidezza di un vino è la sensazione che dà un vino che non ha asperità in bocca, ovvero che bevendolo non si ha la sensazione che sia âduro o acido o tannicoâ, anche in questo caso torniamo al novello e al suo essere estremamente pastoso, dolce e suadente. Certamente non mi riferisco a un grande Barolo che DEVE essere estremamente tannico per essere un âveroâ Barolo.
Se anche vi avessi annoiato, mi farò perdonare offrendovi un bel Bicchiere di vino, meglio, di Valcalepio, e magari un bel piatto fumante di polenta taragna.
In alto i calici e buona Serie Bevute
Nicolò Ditta
PS per informazioni, critiche, suggerimenti o richieste, tranne soldi o bottiglie di vino, scrivetemi pure a uctrapani@uscatanzaro.net