REGGIO CALABRIA “Presidente mi spieghi”, è questo il titolo che Panorama – stando al programma pubblicato nelle scorse settimane – aveva immaginato per il momento dedicato al confronto fra il massimo rappresentante delle istituzioni locali calabresi e le istanze provenienti dai cittadini. Nel frattempo però, è arrivata la dura sentenza di condanna a sei anni di reclusione per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico rimediata da Giuseppe Scopelliti al processo Fallara, il diretto interessato ha annunciato che a breve governatore non lo sarà più per scelta e conseguenti dimissioni e non per la legge Severino, che lo sospenderebbe per 18 mesi, e – forse per questo, forse perché in fondo così era previsto – alla fine le domande le fa solo il direttore di Panorama, Giorgio Mulè, e l’appuntamento si trasforma in un comizio.
PEPPE CONTRO TUTTI
In un Teatro Cilea che si riempie nel corso della mattinata di uomini di prima, seconda e terza fila del centrodestra cittadino e non, il governatore dimissionario – o almeno così ha più volte annunciato e sottolineato – spara a zero. Su tutto e tutti. Dall’amministrazione Falcomatà «che ha ricostruito il senso di comunità in questa città», ma sarebbe responsabile del disavanzo in seguito ereditato dalle giunte Scopelliti «e lo dimostreremo», alla famiglia Falcomatà «da cui – afferma Scopelliti – in virtù degli oltre 50 avvisi di garanzia ricevuti da Italo Falcomatà anche per commistioni con la criminalità organizzata, mi sarei aspettato un gesto di solidarietà, non le aggressioni che abbiamo subito da parenti e company, e se dico questo vuol dire che so qualcosa in più che posso dimostrare».
Dalla stampa in generale a una misteriosa «lobby, gruppo di potere, formata da una ristretta cerchia del giornalismo locale e delle professioni, che negli ultimi 25 anni ha cercato di condizionare le scelte politiche», che – ammette il governatore – «non ho denunciato in nessuna sede, ma ho combattuto e vinto politicamente». E nonostante premetta di «confidare nella buona fede della magistratura», nell’elenco dei cattivi finiscono anche i giudici che – si lascia scappare in un paio di occasioni – non gli avrebbero permesso di depositare atti utili a discolparsi, non avrebbero considerato la sua possibile buona fede, in generale poco o nulla saprebbero di come vanno le cose nella pubblica amministrazione, ma in fondo anche di leggi e codici se è vero che, come sostiene il governatore dimissionario, «c’è stata un’interpretazione non corretta della legge che prevede una netta distinzione fra il potere di indirizzo che spetta alla politica e il potere gestionale. Un sindaco percepisce meno del dirigente, eppure è stato eletto dal popolo. La legge dà una maggiore retribuzione al dirigente perché si assume la responsabilità di certi atti. Quando un dirigente viene e ti fa firmare un provvedimento, io firmo. Un sindaco, un presidente di regione non può leggersi tutti gli atti, è il dirigente a prendersi la responsabilità». Ma non è finita. Se nella lista ci sono – ovviamente – gli storici avversari di centrosinistra, primi fra tutti i dirigenti del Pd e fra i principali testi d’accusa al processo Fallara, Demetrio Naccari Carlizzi e Sebastiano Romeo, bollati come «democristiani della peggior specie», le bordate di Scopelliti sono rivolte anche agli ex compagni di partito come l’attuale presidente della Provincia Giuseppe Raffa, così come ai vertici del suo Ncd, nella persona del segretario, nonché ministro dell’Interno, Angelino Alfano, «che deve rendersi conto che in questo non può esserci chi come la Lanzetta fa il ministro con un Comune mandato in dissesto, e chi viene mandato a casa. Non può esserci la doppia morale». Scopelliti in sintesi ne ha per tutti e a tutti presenta il conto.
«LA MIA REGGIO»
Con parole «non da reduce, ma da guerriero» – sottolinea, rispondendo a una provocazione di Mulè – il governatore dimissionario parte da lontano, dai suoi anni da sindaco per spiegare le ragioni che avrebbero portato alla sua condanna. In quegli anni- sostiene – avrebbero cominciato a maturare le radici della «campagna di odio» che in seguito avrebbe portato alla slavina giudiziaria che l’ha investito. «Tutto si rompe fra il 2004 e il 2005 – afferma – quando io decido che bisogna mettere la parola fine alla svendita del Miramare, lì si rompe il dominio di un gruppo che in questa città aveva imperversato sempre, anche nella stagione di Falcomatà. Io credo che in questa città ci sia stato un “gruppo collegato” che ha dominato sempre, ma per me la politica deve avere un suo spazio autonomo. Il Miramare ha voluto dire Scopelliti non è manovrabile, non è condizionabile, quindi dà fastidio». E la Reggio che ricorda è una città dei balocchi, dove – ammette – «non si può dire che tutto fosse rose e fiori», ma la città si sarebbe trasformata grazie alla «politica del fare». «Reggio è diventata città metropolitana nel 2008 grazie al suo sindaco che a suo volta è diventato forte grazie alla sua città, all’immagine diversa di Reggio che si era affermata. Era una città che formava i giovani, che si occupava dei bambini, abbiamo ristrutturato decine di scuole, con il servizio ever green ci occupavamo degli anziani. Era una città in cui al disoccupato, all’anziano al diversamente abile, a tutti cercavamo di fornire una risposta. Questa era la città che avevamo costruito», afferma Scopelliti, che arriva a rivendicare anche la costosa trasferta di Rtl, divenuta per diverse estati ospite fissa del lungomare cittadino mentre l’Enel protestava per il mancato pagamento delle bollette. Tuttavia per l’ex sindaco la presenza della nota emittente radiofonica sul lungomare della città «era un modo per lanciare il messaggio Reggio metropoli d’amore, Reggio non città di morti ammazzati e di ‘ndrangheta». Un quadro idilliaco, certificato da Biagio Antonacci con tanto di entusiastica chiamata post concerto, che agli aspetti ludici avrebbe affiancato un concreto impegno antimafia. «Qui si fa finta di dimenticare che Scopelliti ha firmato lo sgombero per le famiglie Condello e Lo Giudice – dice il governatore dimissionario parlando di sé in terza persona, anche se i processi dimostreranno che in fondo non è andata proprio così, quindi aggiunge – è l’amministrazione Scopelliti che ha ereditato il maggior numero di beni confiscati e li ha ristrutturati. Insieme al prefetto Musolino, all’epoca del decreto Maroni, ho detto lasciamo stare gli immigrati, puntiamo sugli abusivi che sono spesso legati a famiglie mafiose». Un ritratto a tinte rosa che neanche la protesta dei lavoratori della ex Multiservizi, la società mista che si occupa della manutenzione cittadina sciolta perché scoperta dai magistrati in balia dei clan, riesce a scalfire.
IL BUBBONE MULTISERVIZI
Nonostante quelle infiltrazioni siano maturate proprio negli anni delle giunte Scopelliti, è con fare da padre benevolo che il governatore dimissionario si rivolge ai lavoratori dalle mani consumate e dal volto preoccupato, scaricando la colpa della loro incerta prospettiva lavorativa sui commissari prefettizi che da oltre un anno reggono il Comune, dopo lo scioglimento voluto dal Viminale per contiguità mafiose. «Questi lavoratori – afferma – chiedono continuità lavorativa, la Regione appoggia questa soluzione, ma i commissari da oltre un anno non sono in grado di gestire la situazione, prospettano di mese in mese diverse ipotesi. A questi lavoratori, la Regione ha dato dei finanziamenti per i corsi di formazione, che più volte ha prorogato di tre mesi in tre mesi, ma ora basta, l’ultima volta abbiamo stanziato fondi per un mese solo» – premette Scopelliti, prima di gridare rivolgendosi ai commissari: «Siete pagati per dare risposte alla mia gente, se non siete in grado di farlo dovete dirlo. Il presidente della Camera di commercio ha detto che qui si sono persi diecimila posti di lavoro, ma vi siete chiesti perché? Perché manca la politica. Si pensa che fare una scelta qui sia rischioso e nessuno che non è di Reggio se ne prende la responsabilità, perché non vuole pregiudicare la propria carriera. Noi qui abbiamo rischiato, abbiamo fatto delle scelte».
ORSOLA SI È SUICIDATA, MA C’È CHI NE È RESPONSABILE
Rischio o scelte che si definiscano, sarebbero state queste – è costretto ad ammettere – a dare un sostanziale contributo al crack finanziario di Palazzo San Giorgio: «Il buco, questo maledetto buco – che dimostreremo come non si debba attribuire alle mie amministrazioni, ma a quelli che mi hanno preceduto – si deve alle opere. Mi dicono, sei pazzo, hai speso di più di quanto potessi? Io sapevo che si poteva spendere», dice senza remora alcuna Scopelliti, che dopo aver tentato di utilizzarla come capro espiatorio, coglie l’occasione per seppellire definitivamente Orsola Fallara e nel contempo addossare ad altri la colpa del suo suicidio. «Ricordatevi – non esita a dire – che nell’ultima conferenza stampa Orsola ha detto: “Se mi succede qualcosa la colpa è di Raffa e Naccari”. Ancora c’è il dubbio in città, si parla, si dice, ma la Fallara si è suicidata. Ma è stata indotta al suicidio, perché per un anno l’hanno massacrata, è stata al centro di una gogna mediatica. In città si fantastica sulla morte della Fallara, ma in ospedale c’è arrivata con i suoi piedi, ha parlato con i medici e i parenti fino alle 4 del mattino». Per il governatore dimissionario, la potentissima dirigente delle Finanze del Comune, viveva un «momento difficile della sua vita», per questo quando lo scandalo è scoppiato, avrebbe deciso di farla finita. «Se Orsola non si fosse suicidata, io non sarei stato condannato perché non avrebbe avuto problemi a raccontare la verità», sostiene quasi affranto, per poi attaccare: «La Fallara si è liquidata il 75% delle somme quando io sono andato via da sindaco. Io firmavo mandati per duecento euro e se ne liquidava 12mila. Quando Naccari e Romeo sono andati a fare la denuncia pensavano che la Fallara prendesse i soldi per dividerli, da democristiani della peggior specie quali sono, ma sono rimasti delusi. Per questo 9 mesi dopo si sono inventati il buco di bilancio».
SENTENZA PERICOLOSA PER TUTTI GLI AMMINISTRATORI
Affermazioni che dopo averlo a lungo evitato, obbligano Scopelliti ad affrontare il nodo centrale delle contestazioni che hanno portato alla sua condanna. E nonostante siano temi che l’istruttoria dibattimentale ha a lungo indagato, dimostrando con eserciti di testimoni una realtà diversa da quella che Scopelliti racconta, il governatore dimissionario persevera: «In Procura mi hanno detto che era stato loro riferito che la Fallara veniva da me con i faldoni. Io ho detto che non era vero e le indagini hanno dimostrato che non era così. Firmavo atti che non leggevo significa che io non guardavo a favore di chi firmassi il mandato, ma sapevo che si trattava di atti di costituzione». Nonostante sia necessario attendere le motivazioni, l’esito del giudizio di primo grado sembra raccontare esattamente il contrario. Così come smentisce la tesi della responsabilità collettiva per il documento di bilancio, attribuendola specificamente al sindaco che lo sottoscrive e ne risponde. Ma Scopelliti non sembra aver ancora metabolizzato quella pronuncia del Tribunale che lo ha condannato a sei anni di reclusione. «Questa pena a sei anni mi fa stare male tanto – dice quasi affranto Scopelliti – Anche noi tra gli amici, con gli avvocati abbiamo fatto la stessa riflessione. Il pm ha chiesto cinque anni , ma il tribunale ne ha dati sei perché serviva l’interdizione perpetua. Io penso che debba inquietare tutti gli amministratori, perché un sindaco che firma un atto rischia la stessa pena».
PEPPE DEL FUTURO
Ma il passato occupa solo in parte i pensieri di Giuseppe Scopelliti che nelle prossime settimane – annuncia – dovrà prendere decisioni importanti. Non sulle dimissioni che – afferma – sono dato assodato e decisione già assunta. «Ieri ho consegnato una lettera al presidente del consiglio regionale Talarico, perché convochi la conferenza dei capigruppo allo scopo di fissare un consiglio regionale in cui possa intervenire perché è doveroso e al termine del quale possa ufficialmente consegnare le mie dimissioni». Adesso in ballo c’è un’eventuale candidatura alle europee, su cui – dice Scopelliti – si è riservato una decisione. «Tutto il partito, nelle persone di Lupi, Quagliariello e Schifani ha detto che io mi devo candidare, ha ribadito la mia leadership. Io ho detto che in questo momento non sono in condizioni di affrontare una campagna elettorale, fra una settimana ne riparliamo. Io – aggiunge – ho chiesto soltanto solidarietà e rispetto al mio partito e ad Alfano ho chiesto maggiore protezione per me e la mia famiglia. La prossima settimana scioglierò il nodo sulla mia candidatura, attualmente l’elemento ostativo è la delusione profonda che mi spinge a restare fuori e mantenere una posizione equidistante». Ma nel futuro del presidente della regione Calabria deciso a non essere più tale, c’è anche la manifestazione di sostegno annunciata dai big del Nuovo Centrodestra, che la prossima settimana sono attesi in riva allo Stretto. E c’è – afferma Scopelliti – la personalissima inchiesta sullo scioglimento del Comune voluto dal Viminale, che sembra tuttora albergare tra le principali preoccupazioni del governatore dimissionario. «In ambienti romani, cinque giorni prima dello scioglimento si diceva che al massimo sarebbe stato bastonato qualche dirigente. Io vivrò per sapere cos’è successo in quei cinque giorni in cui è stata condannata la mia città». Ma fra i progetti di Scopelliti sembra anche esserci il proposito di contrattaccare chi – a suo dire – è stato causa della valanga giudiziaria che lo ha travolto «superando questa posizione istituzionale che da presidente di Regione non ti permette di affermare tante cose – dice a margine dell’evento – qualcosa in più si potrà dire e qualcosa – allude – non piacerà». «Le cose verranno fuori e piano piano, un po’ alla volta» – sostiene – farà anche i nomi dei rappresentati della lobby cui ha fatto riferimento in questi giorni come origine dei suoi guai. «Anche dai dibattimenti – conclude – emergono elementi importanti che dovrebbero fare riflettere e lì si annida una parte dei meccanismi perversi di questa società calabrese che vengono messi in evidenza anche dalla magistratura, quindi bisogna iniziare a disegnare questo scenario e a scoprirlo piano piano». Una discovery – dice – prima di tutto politica ma «se ravvisassi degli elementi di natura penale, avrò il dovere di fare un passo diverso». Problemi, progetti e ipotesi – torna a sottolineare – dello Scopelliti del futuro. (0090)
Fonte: corrieredellacalabria
Autore: Alessia Candito