Il presidente Scopelliti dovrà farsene una ragione: l’estate 2011 calabrese verrà ricordata (ahinoi) dai posteri non già per l’originale spot promozionale con protagonisti due virgulti giovanotti “abbronzati” che ha invaso case, strade, stazioni ferroviarie ed aeroporti del bel paese, bensì per i quintali di spazzatura che, quasi a far gara con lo spot quanto a storture, hanno invaso le strade delle principali città e località balneari della regione.
I titoli strillati dalle principali testate regionali parlano di collasso degli impianti, di situazione di straordinaria emergenza. Ed in questa definizione sta tutto il senso dell’inadeguatezza dell’azione in tema di gestione del ciclo dei rifiuti. Parlare di emergenza con 14 anni di (fallimentare) esperienza commissariale alle spalle, è a dir poco grottesco. Come è grottesco che i primi provvedimenti disposti dalla Regione – trionfalmente annunciati come si conviene per ogni provvedimento che segue ad una emergenza – riportino la data del 24 agosto (sic!). Ventiquattro agosto, a stagione praticamente conclusa, come se quanto accaduto non fosse ampiamente prevedibile, quasi si trattasse di una contingenza. E risultano davvero improponibili quei riferimenti all’afflusso dei turisti quale potenziale causa dell’emergenza. Come se i turisti rappresentassero una variabile nuova ed inattesa. Ammesso che non si trattasse di un lapsus freudiano di chi si sta perfettamente rendendo conto che questo danno d’immagine giornaliero alla Calabria e alla sua bellezze rischi davvero di trasformare la presenza turistica in una variabile imprevista.
Era il 12 settembre 1997 quando venne ritenuto opportuno commissariare la gestione dei rifiuti della regione Calabria. Quattordici anni di commissariamento che hanno prodotto solo confusione in tema di competenze, doveri e responsabilità; 14 società miste pubblico-private (con annessi presidenti, amministratori delegati, direttori ed impiegati vari) lautamente finanziate con risorse pubbliche e deputate alla attuazione di un piano rifiuti regionale predisposto nel 2001 e rinnovato nel 2007, i cui (modesti) obiettivi sono stati puntualmente disattesi. Risorse per oltre un miliardo di euro (non di lire, avete letto bene, di euro) risoltesi nell’ennesimo colossale spreco, risorse che anziché accorciare hanno accentuato la distanza che ci separa dalle regioni italiane meno virtuose e che, a dispetto di Napoli, Acerra, Berlusconi ed i consigli dei ministri di emergenza nel capoluogo campano, ci regalano l’ennesima maglia nera nazionale. Dati clamorosi e imbarazzanti. Come imbarazzante (e triste) è il senso di inopportunità di chi, investito di onori e oneri del caso come l’attuale commissario Melandri, si esibisce nel maldestro tentativo di ridefinire i confini del Disastro e delle connesse responsabilità. In questo contesto, diventa una “non-notizia” per il suo (amaro) sapore di scontato, l’indagine promossa dalla Procura di Catanzaro, che vede iscritti nel registro degli indagati lo stesso commissario Melandri ed il suo predecessore per presunti gravi illeciti nella gestione delle concessioni e dei finanziamenti. La giustizia farà il suo corso e, eventualmente, in un futuro (molto) lontano pronuncerà i suoi verdetti. Il tempo e la storia il loro verdetto lo hanno già espresso nei termini di una condanna senza alcuna possibilità di appello: l’esperienza commissariale in Calabria rappresenta un fallimento senza precedenti (da far concorrenza alla Salerno-Reggio Calabria), una costosissima foglia di fico, utile esclusivamente a mal celare (ir)responsabilità ed incapacità di enti ed amministratori.