Il lockdown ha smorzato gli entusiasmi riportando tifosi calciatori e società su una dimensione più terrena, maledettamente più vicina alla realtà di quanto non lo siamo mai stati.
Tutti abbiamo dovuto fare i conti con il virus, proprio tutti. Anche le stelle del firmamento sono rimaste chiuse in casa, qualcuno è risultato anche positivo ai tamponi. Molti hanno dovuto rinunciare ai riflettori mediatici che nel corso degli anni hanno trasformato gli atleti in supereroi, mitizzando oltre ogni ragionevole misura la figura di uno sportivo.
Il calcio ai tempi del covid-19
Il fatto è che oggi il calcio a porte chiuse non interessa poi più di tanto. Una volta percepito il timore di un ridimensionamento economico ed annusata la situazione di stallo, che sarebbe emersa nelle aule di tribunale se i campionati fossero stati interrotti, il mondo del calcio ha trovato il modo di ripartire, salvando capra e cavoli.
Ma ciò che è ripartito non è il calcio cui siamo abituati e l’interesse per le partite ed i risultati è passato in secondo piano. Dai chiassosi palcoscenici europei, passando per la massima serie e giù fino alla serie C e il dilettantismo.
Il piccolo virione ha messo tutti in riga, e per certi versi tutto quello che è avvenuto ha avuto ed ha tuttora un aspetto positivo.
Ricominciare si può, ma bisogna farlo restituendo il calcio ai suoi tifosi. E questo non si traduce soltanto nel riaprire gli stadi, bensì in quel modo di fare calcio che oggi non esiste più. Oggi è tutta una questione di bilanci, di sponsor, di pay-per-view, di plusvalenze e anche di scommesse. E’ una questione di soldi.
Questione di competenze
Alle nostre latitudini, oltre ad essere una questione di soldi, è soprattutto una questione di competenze. La società giallorossa ha accusato pesantemente il fallimento dei risultati sportivi, cosi dopo l’ennesima comparsata play-off, si è subito parlato di riassetto societario, per certi versi anche in modo inaspettato vista la solidità della compagine societaria il cui core business (la grande distribuzione) è uno dei pochi ad aver retto alla grande la crisi economica della quarantena.
Il silenzio delle ultime due settimane è stato interpretato come una sorta di lascia o raddoppia. Sono saltati fuori i nomi di alcuni papabili futuri allenatori, non sono mancati accostamenti a nuove figure dirigenziali e infine, proprio per non farsi mancare nulla, si è parlato degli incontri con il sindaco e dell’interessamento di nuove figure imprenditoriali.
Di ufficiale non c’è nulla, di ufficioso c’è anche troppo. Ma a ben guardare, non è l’ufficialità dei nomi che preoccupa o interessa i tifosi, bensì quella volontà e determinazione nel fare calcio che la dirigenza Noto non ha ancora saputo offrire, oppure se l’ha fatto, non è andata come sarebbe stato lecito aspettarsi.
Dopo 30 anni di semi anonimato in terza serie, a Catanzaro possiamo definirci fini conoscitori della categoria, il che sia chiaro non è affatto un vanto, quanto piuttosto l’amara constatazione dell’infinità di errori cui nel tempo abbiamo assistito e che purtroppo abbiamo riscontrato anche nell’attuale gestione societaria.
Errori ed orrori della stagione appena conclusa
Un anno fa, proprio di questi tempi, il Catanzaro aveva da spendere alcune fiches sulle quali generalmente si costruiscono campionati vincenti: 1) Un terzo posto ottenuto al termine della stagione regolare 2) Un impianto di gioco ben preciso ad immagine e somiglianza di mister Auteri 3) Un nutrito gruppo di giocatori funzionali all’idea di calcio del tecnico 4) Un anno di lavoro sulle spalle e qualche mese di vantaggio sugli avversari per chiudere le operazioni di mercato funzionali ad innestare il tasso di qualità mancante in squadra 5) La fiducia della piazza
E invece cosa accade? Alla rivoluzione estiva ne segue un’altra, ancora più profonda, nel mercato di riparazione. In mezzo l’esonero e il ritorno di Auteri con lo sciagurato intermezzo Grassadonia.
Una sequenza di fatti così assurdi e privi di logica, da trarne una sola conclusione sensata: prima ancora dei soldi servono le competenze. Occorrono come il pane quelle qualità umane e professionali alla base di qualsiasi organigramma societario.
In estrema sintesi: per fare calcio servono idee chiare e soprattutto pazienza. Non si programma nulla se lo staff tecnico è messo in discussione dopo ogni passo falso, cosi come non si può pretendere di ottenere subito un risultato sportivo se prima non si è costruita una solida base.
Logiudice e Auteri hanno fatto tanto, volendo anche più di molti loro predecessori, eppure entrambi sono stati risucchiati dal continuo pettegolezzo di diatribe interne, lotte intestine che li vedavano l’uno contro l’altro.
Entrambi sballottati a destra e a manca da indiscrezioni che dovrebbero restare nel chiuso dello spogliatoio e che invece hanno finito per minare la credibilità del loro operato non appena sono emersi i primi problemi sul campo.
La colpa è di chi ha fatto la campagna acquisti, la colpa è di chi allena, la colpa è di chi va in campo. Ad ogni risultato negativo, un colpevole diverso. La stagione è nata cosi, sotto la buona stella del colpevole di turno. E come doveva finire se non con un misero settimo posto?
Tanta improvvisazione
La verità è talmente lampante da essere alla portata di chiunque. Nell’anno della consacrazione, quello della lotta per la promozione, poche cose in campo sono andate per il verso giusto e quasi nulla fuori dal campo è stato fatto per sanare un ambiente che, calcisticamente parlando, è collassato su se stesso, anche per l’ingerenza di chi dovrebbe aver diritto ad esprimere la propria opinione da tifoso sugli spalti e non invece da tuttofare nella stanza dei bottoni.
Per fare calcio servono professionisti dalla comprovata esperienza, non gente improvvisata con vaghe conoscenze e qualche contatto. Il famoso management cui Noto accennava in un’intervista rilasciata durante la gestione dell’ex presidente Cosentino, nei fatti è durato pochi mesi e per la prima volta da decenni aveva sorpreso tifoseria e addetti ai lavori per la professionalità che da esso derivava.
E invece il tritacarne di quella parte della Catanzaro sportiva (e non solo…) che da un trentennio non ne indovina una nemmeno per sbaglio, ha finito per divorare anche Maglione e Doronzo, ennesime vittime di una città che rigetta chiunque possa mettere in discussione il concetto della catanzaresità come soluzione a qualsiasi problema.
Per non parlare di quel Dionigi bollato come inadatto al nostro ambiente quando oggi, su una panchina di serie B, rischia di salvare la società che gli ha dato fiducia. Ma lo si è capito che non è sempre colpa del mister se le cose non vanno bene, oppure servono altri esempi?
Il difetto di organizzazione
In tre anni il Catanzaro ha avuto giocatori, allenatori e dirigenti di buon livello, eppure non si è mai riusciti a far quadrare il cerchio. Con un occhio attento alle società che hanno ottenuto successi sportivi, non si può che constatare quanto determinante sia stata l’organizzazione societaria ancor prima della qualità dei calciatori.
Ed è proprio l’organizzazione di una società l’unico aspetto che alla fine conta davvero. Ruoli e competenze ben definiti che non diano adito a dubbi. In terza serie la figura di un direttore generale, anche se non indispensabile, non può comunque essere sostituita dalla buona volontà di chi a turno presenzia agli allenamenti oppure alle conferenze stampa.
Ci si è mai chiesti come sono visti alcuni personaggi che orbitano fra lo spogliatoio e la dirigenza dai giocatori stessi oppure dal mister? Ci si è mai chiesti se la loro presenza, e talvolta ingerenza, non sia stata dannosa?
Alla luce di quanto abbiamo visto ci sentiamo di affermare che sarebbe servita la figura di un direttore generale. Una figura autorevole che fa da collante fra tifoseria squadra e dirigenza. Che da un lato impedisce il divulgarsi dei pettegolezzi stile novella 2000 e dall’altro stimola e pungola area tecnica e giocatori a dare il massimo. Proprio ciò che è mancato quando a un certo punto si è capito che qualcosa non funzionava.
E quando le cose hanno smesso di funzionare è emersa l’approssimazione delle decisioni sbrigative che non hanno risolto alcun problema, al contrario ne hanno aggiunti di nuovi. Basti ricordare l’avvicendamento in panchina con un tecnico che ha adottato un modulo di gioco palesemente inadatto alla rosa a disposizione. E i calciatori stessi cosa hanno pensato di Grassadonia ce lo siamo chiesti?
A Catanzaro nessuno si è posto degli interrogativi, siamo andati avanti con l’obiettivo della promozione quando era cristallino che squadre meno attrezzate della nostra viaggiavano al doppio della velocità. E il segreto non stava nel numero dei giocatori in rosa o nella minor gravosità degli allenamenti, bensì nell’ambiente sereno e compatto che aveva individuato le figure giuste nei posti che contano.
Il famoso senso di responsabilità cui i giocatori erano stati richiamati all’indomani dell’esonero di Auteri è andato a schiantarsi con la mancanza di fiducia dei giocatori stessi in un ambiente che evidentemente non ha saputo dimostrare di avere le idee ben chiare sul come risolvere i problemi interni. E chi doveva schiarire le idee ai calciatori? chi avrebbe dovuto responsabilizzarli?
Non c’era nessuno. Nessuno capace di risolvere i guai in cui la società si era cacciata. In altre realtà la figura del direttore generale non è presa in considerazione perché nello staff societario ci sono figure dirigenziali capaci di supplire quel ruolo. Non è il nostro caso, tant’è che i problemi, come i nodi, sono tornati al pettine.
Problemi che possono nascere in casa del Catanzaro come in qualsiasi altra realtà sportiva, ma che se affrontati superficialmente portano spesso a una soluzione peggiore del male.
Ed è in questo che altre società hanno dimostrato maggior lungimiranza, cioè nell’aver affidato ruoli dirigenziali cardine a gente che ha calcato i campi della serie A o che regolarmente intrattiene rapporti e amicizie con società ubicate in tutto il territorio nazionale.
L’esperienza conta eccome, soprattutto quando si hanno certe ambizioni e a maggior ragione in una città come la nostra che vive ancora il ricordo del passato senza avere cognizione delle difficoltà e della complessità del presente.
Comunicazione e marketing: anno zero
C’è un vecchio motto nel mondo del marketing e della comunicazione che recita: il contenuto è sovrano. Ora, se valutassimo i contenuti della comunicazione giallorossa nel corso degli ultimi tre anni, ci renderemmo conto che al di là del compitino istituzionale, c’è veramente poco da commentare. Un deserto che non può essere colmato da uno slogan per la campagna abbonamenti, da qualche incoraggiante intervista durante il campionato o qualche post rabberciato sui social network e men che meno da un tristissimo store ricavato a forza tra le mutande in offerta dell’OVS.
Il credo societario lo conosciamo: comunicazione e marketing non sono la priorità. Niente da obiettare se non fosse che nel 2020 di fatto non esisti se non comunichi, e in questo senso il Catanzaro è poco più di un ectoplasma.
Il dramma è che, al netto di evidenti conflitti d’interesse, sembra manchi la percezione di avere già in squadra professionisti ai quali basterebbe poco per rendere quantomeno dignitoso un ambito fin troppo delicato e strategico.
In estrema sinstesi, il Catanzaro dei Noto merita di essere raccontato con professionalità, dedizione e passione.
Ancora con la palazzina?
Inutile girarci intorno, calcio e politica giocano sullo stesso terreno ma a Catanzaro non è chiaro se indossino la stessa maglia. Per fare calcio serve anche il sostegno dell’amministrazione comunale che dovrebbe smetterla di gingillarsi con l’ecomostro della palazzina quando tutto intorno il “Ceravolo” è ridotto ad un colabrodo: dal manto erboso da rifare agli urgenti interventi di rifacimento della copertura della tribuna, passando per il sempre attuale abbattimento e rifacimento delle curve a ridosso del terreno di gioco.
Ma qui alziamo le mani anche noi, non fosse altro che le nostre battaglie le abbiamo condotte strenuamente per poi raccogliere le solite briciole. Una piccola città come la nostra spesso deve sopravvivere alla precarietà delle proprie strutture ed accontentarsi di quel poco che negli anni viene concesso, non sia mai che poi ci si abituasse all’efficienza se non addirittura al bello.
Non si tratta di una dichiarazione di resa, quanto della constatazione che senza elezioni all’orizzonte e consensi elettorali da raccogliere, non ci siano margini di dicussione concreti intorno a queste faccende. A noi è sempre sembrato che il calcio potesse essere un volano economico non da poco per la città, evidentemente ci sbagliavamo. Oggi pensiamo che se il Catanzaro calcio è in terza serie da trent’anni, probabilmente è lo specchio di una città che lo è da quasi il doppio. Un comodo alibi da sfruttare una volta per giustificare gli insuccessi sportivi, un’altra per motivare i mancati interventi di adeguamento dello stadio.
L’anno che verrà
Da tanto, troppo tempo, ci affidiamo alla speranza. Anche per la nuova stagione sportiva non possiamo fare altro che confidare nella ritrovata volontà del presidente Noto di dare una sterzata alla propria esperienza alla guida del Catanzaro. Senza la pretesa di vincere a tutti i costi ma costruendo ogni giorno un ambiente davvero unico e appassionato.
L’anno che verrà… sarà tre volte Natale, cantava Lucio Dalla. I proclami servono a poco, quando uno lavora bene lo vedi dal piglio con cui affronta la stagione considerando i tantissimi aspetti che coinvolgono una squadra di calcio.
L’augurio è dunque questo. Che il presidente Noto abbia la capacità di trovare le persone giuste e dire a ciascuna di loro: “ricomincio da te”. Dallo staff dei dirigenti a quello tecnico, poco importano i nomi, ciò che conta è dare spazio alla professionalità.
Complimenti per l’articolo!
bravo Davide, ultimi paragrafi su comunicazione e città sono da fare un manifesto da affiggere in giro per catanzaro…
Ti ringrazio per aver trovato tempo e passione nella redazione del tuo articolo.
Hai esternato la verità, senza peli sulla lingua.
Il tuo amore per la ns. squadra si rileva chiaramente nel mettere a nudo tutte le problematiche. Solo chi non ama la squadra, cerca di minimizzare quanto accaduto in quest’ultimi anni, se non negare l’evidenza della cruda realtà. Noi tutti del Forum avremmo dovuto gridare già da tempo, quanto da te riportato. Abbiamo finito col dividerci senza alcun risultato. Mi auguro fortemente che quanto da te scritto venga compreso da chi oggi ha la responsabilità gestionale. Mi auguro, altresì, che venga condiviso dalla maggior parte dei forumisti, mentre di sicuro non mancheranno coloro che dissentiranno.
Di nuovo Grazie, ed un abbraccio affettuoso
Uzuturi
Bisogna fare pulizia di tutto il parassitismo che ruota intorno alla squadra.
Non è facile perché questa gente ha poche competenze ma molte conoscenze, molta lingua e propensione a denigrare le persone e a mettere in giro voci false e tendenziose.
Bisogna provarci, noi tifosi non dobbiamo avere fretta perché per creare una società solida, stile atalanta, ci vogliono anni.
Sono sicuro che il Presidente, che è un grande tifoso, non si farà scoraggiare.
FORZA AQUILE!
…. bene, non dobbiamo avere fretta, dobbiamo avere pazienza(dice Davide). Noi tifosi dobbiamo fare la nostra parte, magari criticare meno. Abbiamo (me compreso) disprezzato, per esempio, tanti calciatori, che poi in altre squadre hanno fatto buone cose. Qualche nome? Mancuso, Martignago, Infantino e tanti altri che ora non ricordo. Fretta di mandarli via anche da parte della società, non abbiamo avuto la pazienza di aspettare che mettessero in mostra le loro doti. Se la Società deve cambiare, anche noi tifosi dobbiamo fare la nostra parte dando fiducia e pazientando, perchè cambiare tutti i calciatori, non chè gli allenatori ogni anno non ci porta da nessuna parte.
Complimenti . Sei un grande. Le mutande dell”ovs una chicca……
E io che volevo regalare il pallone del Catanzaro a mio figlio e scopro che non esiste… C’è invece del Krotone della reggina anche della cittanovese ma non del catanzaro. E come si possono fare proseliti? Meditate gente
È da qualche anno che chiedo la vendita di prodotti on-line, con Cosentino qualcosa c’era, con Noto che è esperto in questo campo, nulla.
Non posso comprare nulla, mi sono dovuto fermare alle tazze, portachiavi ecc del Catanzaro di Cosentino