Undici arresti sono appena stati effettuati dagli uomini del Gruppo Investigativo sulla criminalità organizzata della Guardia di Finanza di Catanzaro coadiuvati dai colleghi del Servizio Centrale con sede a Roma e dai Baschi Verdi di Vibo Valentia e Lamezia Terme, a seguito di indagini coordinate dalla Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Otto persone sono state condotte in carcere e tre agli arresti domiciliari per usura ed estorsione – reati aggravati dall’uso del metodo mafioso – nonché di truffe al bilancio regionale in materia di finanziamenti agevolati, per oltre un milione di euro, per le quali risulta coinvolto un funzionario del Tribunale di Lamezia Terme. Altre sei persone sono state invece colpite dalla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, mentre altre dodici risultano attualmente denunciate a piede libero.
Tre milioni di euro il giro d’affari usurario accertato dalla Guardia di Finanza. Le indagini, durate oltre circa due anni, sono iniziate grazie alle dichiarazioni di alcuni imprenditori agricoli locali, ed hanno coinvolto, nel tempo, un’articolata rete di soggetti usurai orbitanti intorno alle cosche attive nel territorio del lametino e del vibonese (Anello-Fruci, Mancuso e Fiare). Per giungere agli scopi illeciti, gli usurai concedevano prestiti approfittando dello stato di bisogno delle vittime, applicavano tassi di interesse anche oltre il 140% annuo e, in caso di incerto recupero del denaro dato, ricorrevano ad intimidazioni, minacce dirette o implicite e, ove necessario, a mirate azioni estorsive. L’analisi dei documenti sequestrati e delle operazioni bancarie, ha poi permesso di ricostruire nei minimi dettagli le singole transazioni usuraie poste in essere ai danni delle vittime.
In particolare, le indagini hanno fatto emergere che spesso erano proprio i soggetti in difficoltà finanziaria a ricercare le persone in grado di prestare loro denaro, sebbene non siano mancati casi in cui erano gli stessi usurai che, conoscendo lo stato di bisogno delle potenziali vittime, offrivano spontaneamente denaro ad usura ovvero le indirizzavano verso altri soggetti di loro conoscenza; la forma più ricorrente di finanziamento usurario consisteva in prestiti in danaro contante, con previsione di rientro del capitale a breve termine per importi iniziali non elevatissimi e con il contestuale rilascio da parte dell’usurato di un assegno postdatato a titolo di garanzia di un importo comprensivo anche dell’interesse. Tra le parti vi era, spesso, la tacita intesa che in caso di impossibilità di rimborso alla scadenza, il prestito si sarebbe potuto rinnovare previo pagamento dell’interesse mensile fisso, realizzandosi così il cosiddetto prestito a fermo, attraverso il quale il debitore continua a corrispondere per lungo tempo somme mensili a copertura del solo interesse, fermo restando l’obbligo dell’integrale rimborso della somma finanziata. Spesso, gli imprenditori usurati per poter saldare i loro debiti, si sono dovuti rivolgere ad altri usurai, Si parla in questo caso di “usura incrociata”.
Nel corso delle indagini è stata poi accertata una tentata truffa ai danni del bilancio regionale per circa un milione di euro in materia di finanziamenti agevolati per l’acquisto di macchinari agricoli ai sensi della legge n. 1329/65 (c.d. legge Sabatini), realizzata mediante la produzione di fatture per operazioni inesistenti e l’esibizione di falsa documentazione contabile ed extracontabile. Il meccanismo fraudolento era stato architettato e pressoché imposto agli imprenditori sotto usura da alcuni usurai i quali, consapevoli delle insanabili condizioni finanziarie delle loro vittime, le avevano indotte a reperire le liquidità necessarie per far fronte ai debiti contratti attraverso operazioni illecite. In tale ambito, oltre ai materiali artefici della truffa e ai titolari delle imprese venditrici compiacenti, è emerso il coinvolgimento di un funzionario del Tribunale di Lamezia Terme il quale ha agevolato la commissione del reato attestando falsamente l’apposizione dei contrassegni di legge su macchinari che, in realtà, non erano mai stati acquistati. La tempestiva segnalazione degli inquirenti al competente organo regionale ha consentito di bloccare la procedura di erogazione dei finanziamenti, impedendo così la consumazione della truffa.