L’integrazione tra il presidio ospedaliero “Ciaccio-De Lellis” e la Fondazione Campanella non ci sembra sia il vero argomento all’ordine del giorno di una discussione che interessa tutta la città. Nella ormai famosa riunione del 29 novembre – di cui non c’è traccia in atti ufficiali, ma il cui esito non è stato mai smentito da nessuno – era avanzata l’ipotesi che il Dipartimento di Onco-ematologia del presidio “Ciaccio-De Lellis” venisse trasferito a Germaneto e che nei locali del Ciaccio venissero trasferiti reparti riabilitativi. Su questa discussione si è aperta un’attenzione da parte della città, pazienti e famigliari, dei dipendenti e del personale: di questo dobbiamo parlare anche perché di un trasferimento che non è stato sancito da atti ufficiali non si può parlare. La commissione consiliare Sanità di palazzo de Nobili, in maniera diversificata, hanno preso posizione convergendo sulla necessità di difendere il Dipartimento di Onco-ematologia soprattutto dal punto di vista dei pazienti, visto che è unica nel suo genere e nel panorama regionale, tanto da attirare il 40 per cento circa dei pazienti anche da fuori città. Si tratta di una straordinaria eccellenza che si è costruita attraverso un lungo progetto frutto di anni di esperienza che ha prodotto una struttura dipartimentale unica nel panorama regionale sul modello delle più avanzate ipotesi organizzative del Nord d’Europa; un dipartimento che integra in modo eccellete professionalità, competenze con l’integrazione dei vari segmenti sanitari, compresa la struttura logistica per fare unicum indivisibile e quasi del tutto autonomo qualora si completasse nel tempo il progetto di aggregare nuovi reparti in maniera organica come sarebbe già nelle intenzioni operative. Non c’è ragione al mondo, partendo dall’interesse dei pazienti, per ipotizzare alcuno smembramento né trasferimento né funzionale né strutturale, del Dipartimento di onco-ematologia, pena la distruzione irresponsabile di questo “gioiellino”. Casomai è proprio presso questa struttura – tra l’altro l’unica ad essere accreditata per i servizi che potrà svolgere – che potrebbe ospitare implementazioni di competenze, di risorse umane e risorse finanziarie, e ove questo fosse possibile, potrebbe essere certificato solo alla luce di sudi di fattibilità realizzati da persone effettivamente competenti. Solo accidentalmente, sulla base di questo ragionamento, si può pensare all’eventuale integrazione con le altre aziende ospedaliere. E’ evidente che rispondendo ad una maggiore utilità del servizio sanitario senz’altro è auspicabile un’integrazione, ma non è pensabile realizzarla di questo tipo sulla base di singoli provvedimenti di nicchia. L’integrazione seria può avvenire quando le autorità preposte alle politiche sanitarie decidano finalmente di realizzare un’unica unica una sola azienda sanitaria che sia universitaria e ospedaliera e che, quindi, raggruppi in un unico modello organizzativo, tutte le realtà e tutta l’offerta sanitaria pubblica sul territorio. Fino a quel giorno, però, è del tutto fuorviante e demagogico ipotizzare inconsistenti e improvvisate soluzioni, lungi dall’essere realmente fattibili, perché non studiate ma improvvisare e a scapito di ciò che di buono davvero esiste, il dipartimento. Pertanto difendiamo, al momento, la sopravvivenza di questa struttura mettendola al riparo dalle avventurose ipotesi di maldestri operatori della cosa pubblica.