Nonostante non vi abbia partecipato fisicamente, credo di poter affermare che la Notte Piccante celebrata sabato scorso a Catanzaro, in un allegro snodarsi di eventi tra viuzze e piazzette del centro storico e sulla sua via principale, abbia rappresentato ancora una volta una egregia opportunità per valorizzare il capoluogo di regione. Una nota estremamente positiva. Per carità, non sarò un ingenuo sempliciotto che sostiene l’idea che una sola nottata trascorsa in allegria possa far rivivere i fasti della dotta Catanzaro d’altri tempi, così come evocato con nostalgico rimpianto dall’avvocato Nunzio Raimondi. Ed in effetti non può essere una notte bianca a risuscitare i caffè letterari della Catanzaro ottocentesca o le innumerevoli riviste che quivi si editavano. Su questo non si può che essere d’accordo. Né può essere una notte bianca a riportare il fervore intellettuale che si respirava un tempo in città e che, colto mirabilmente dal romanziere inglese George Gissing mentre praticava lo struscio sul Corso tra la gente del luogo, gli fece affermare che “un caffè di Catanzaro può sembrare un’assemblea di saggi e di filosofi”. Affermazioni che probabilmente oggi possono apparire come esagerate, specie se le proiettiamo all’odierna assemblea dei grezzi avversatori dell’isola pedonale.
Ma la Notte Piccante ha un’altra ragion d’essere, un’altra missione. Ed è una ragion d’essere pragmatica, una missione propositiva. Essa porta gente in città, la accoglie, la fa conoscere. E non importa che ciò accada solo in una notte. Quella notte può veicolare ulteriormente l’immagine positiva e accogliente di Catanzaro. E non è certo un peccato se, fra una nave dei veleni a largo di Cetraro, una scuola intossicata a Crotone, i morti ammazzati dalle auto-pirata sulla statale 106, Catanzaro fa parlare di sé in termini positivi. Non può essere una colpa aver pensato e organizzato la Notte Piccante, un evento che contiene svariati eventi nei quali si passa dalla mostra d’arte al concerto rock, dallo spettacolo teatrale alla pietanza enogastronomica tipica, dalla riscoperta storica delle proprie radici alla presentazione di un libro, dalla musica blues a quella reggae, dalla piazzetta rianimata con gli artisti di strada alle porte aperte dei palazzi storici e dei musei. Né la gioia e il valore di una pur semplice notte bianca devono essere forzatamente inficiate dalla malinconia della nobile e colta Catanzaro dei tempi andati.
Nel lungo intervento scritto da Nunzio Raimondi, che ho letto con attenzione lunedì scorso, ravviso un sincero carico di sentimenti e attenzioni verso la nostra comune città, racchiusi nella metafora di un “amore che scorre nelle vene”. Ma vi è troppa malinconia. Il perduto fervore intellettuale che egli lamenta non c’entra nulla con una semplice, per quanto affollata, notte: è altrove che bisognerebbe indagare, col soccorso della sociologia, se vogliamo davvero comprendere dove sta andando la nostra Catanzaro.
Ma una notte, come quella Piccante, può aiutare. Ed evidentemente aiuta, se è vero che le stesse riflessioni dell’avvocato Raimondi sono nate grazie a quella notte. In tal senso allora posso e voglio immaginare ulteriori contributi, auspicabilmente costruttivi. Ognuno dovrebbe contribuire alla crescita sociale del proprio territorio, chi attraverso gli strumenti della politica, chi attraverso quelli della cultura, dell’arte, dell’insegnamento, della famiglia, chi attraverso quelli della diffusione di idee virtuose. Al contrario il lamento è un segno di resa, è un grido di dolore passivo che non porta benefici. La Notte Piccante ovviamente non è e non può essere la soluzione dei mali cittadini. Non è un fine, non è lo scopo finale. E’ piuttosto un mezzo, uno dei tanti disponibili, e come tale è portatore di speranza e oggetto di attenzioni e contributi per essere sempre migliorato e per migliorare sempre la città.
Ma se conveniamo onestamente che la Notte Piccante non pretende d’essere la soluzione dei tanti mali cittadini, ancora di più non ne rappresenta la causa. Tutt’altro. E’ una cosa che si è fatta in una città dove per molto tempo non si è fatto nulla. D’altronde, come affermava lo scrittore francese Antoine Rivarol, “non aver fatto niente è certo un tremendo vantaggio, ma non bisogna abusarne”.
Prof. Egidio Campagna