La solita Calabria? No Grazie. Sono tanti i motivi che mi hanno spinto a scegliere questo slogan. Ma uno su tutti credo che sia predominante. Troppe, tante volte, abbiamo sentito parlare di cambiamento, svolta, abbiamo sentito utilizzare questi termini inopinatamente da chi, sempre uguale a se stesso, non ha al suo attivo neanche un provvedimento che valorizzi le peculiarità umane e naturali del territorio, una sola proposta che contrasti il depauperamento di quelle zone (e la situazione è uguale in tutta la Calabria) in cui la terra in questi giorni pare si ribelli proprio nei confronti di chi non ne ha avuto rispetto. In una simbologia, che può apparire tragica ma che è quanto mai vera, lo sgretolamento del terreno a cui assistiamo ultimi tempi in cui imperversa il maltempo è la triste risposta di una natura che non è stata mai salvaguardata. Dalla città all’hinterland ,oggi, nei giorni del dramma e delle difficoltà, vengono messe a nudo le leggerezze di chi, negli ultimi 30 anni, era chiamato ad amministrare governare e controllare e invece si è girato dall’altra parte mentre sorgevano fabbricati su terreni ricavati con materiale
di riporto, o mentre la speculazione edilizia faceva sì che si costruisse ai piedi di una montagna o sul greto di un fiume. Oggi contiamo famiglie evacuate e zone isolate, ma ieri nessuno ha pensato a un assestamento idrogeologico degli ambienti ambienti, tale per cui, se pure danni ci fossero stati non
avrebbero avuto questa portata.
Appena 5 anni fa le stesse zone della città e dell’immediata periferia, che oggi sono flagellate, durante i temporali di primavera si trovarono a fare i conti con voragini sulle strade e frane che isolarono intere zone. Ma il problema è antico e atavico.
Ben vengano i contributi statali, ma non si può pensare di non individuare precise responsabilità di chi tutto ciò lo ha consentito, non tanto o non solo nel presente quanto e soprattutto nel passato. Intervenire sull’emergenze significa non individuare mai la causa prima che ha portato a tutto questo. Ecco perché
non vogliamo la stessa Calabria. Vogliamo una regione diversa che sia sicura a partire proprio dalla terra e dalla difesa dei territori, perché non è la natura che li sta facendo a pezzi ma ha iniziato molto prima chi non li ha saputo salvaguardare.
Filippo Capellupo
di riporto, o mentre la speculazione edilizia faceva sì che si costruisse ai piedi di una montagna o sul greto di un fiume. Oggi contiamo famiglie evacuate e zone isolate, ma ieri nessuno ha pensato a un assestamento idrogeologico degli ambienti ambienti, tale per cui, se pure danni ci fossero stati non
avrebbero avuto questa portata.
Appena 5 anni fa le stesse zone della città e dell’immediata periferia, che oggi sono flagellate, durante i temporali di primavera si trovarono a fare i conti con voragini sulle strade e frane che isolarono intere zone. Ma il problema è antico e atavico.
Ben vengano i contributi statali, ma non si può pensare di non individuare precise responsabilità di chi tutto ciò lo ha consentito, non tanto o non solo nel presente quanto e soprattutto nel passato. Intervenire sull’emergenze significa non individuare mai la causa prima che ha portato a tutto questo. Ecco perché
non vogliamo la stessa Calabria. Vogliamo una regione diversa che sia sicura a partire proprio dalla terra e dalla difesa dei territori, perché non è la natura che li sta facendo a pezzi ma ha iniziato molto prima chi non li ha saputo salvaguardare.
Filippo Capellupo