Ho conosciuto Antonella e Giuliana quasi per caso, in un freddo e nebbioso weekend nella bassa lombarda. Insegnante una, architetto l’altra, sorelle. Vibonesi d’origine e “bergamasche” per necessità, come tanti di noi partiti per scelta o per forza. Mi avevano avvisato: «Nostro padre è un patito del Catanzaro. Adesso segue la Vibonese, ma resta un fedelissimo tifoso giallorosso. Se ci vieni a trovare…».
Ho pochissimo ore prima di tornare a Roma per riflettere se trattasi di minaccia o invito. Ed eccomi allora al volante, nel solito, noioso pomeriggio di Santo Stefano. Settanta chilometri sono pochi se servono a rinsaldare un’amicizia e ad ascoltare storie giallorosse sfocate dal tempo. Corro sulla salernoreggiocalabria verso Nao, in greco “tempio”, 500 abitanti e quattro case incastrate tra il mare blu di Tropea e le Serre, a due passi da Vibo Valentia.
Si sente dire spesso che Vibo è un feudo di tifo giallorosso. Ormai sembra una frase fatta dai soliti spocchiosi catanzaresi che non perdono mai occasione per rimarcare la tradizione, la storia, il blasone. Del resto Vibonese-Catanzaro è diventata praticamente una “classica” da C2, il “derby dell’amicizia”, che tra l’altro riserva spesso parecchi dolori al vecchio capoluogo. Ma quando incontri certe persone capisci che a Vibo, come in tutta la vecchia, grande provincia, il cuore batte ancora forte per i giallorossi.
Arrivo a casa Deodato mentre calano le ombre. Il cane Blu scodinzola allegro vedendo questi ospiti venuti da lontano. La tavola natalizia è imbandita come in ogni casa calabrese che si rispetti. Tra un pandoro zuccheroso e una distesa di cioccolatini fa capolino un gagliardetto del Catanzaro. Mi sento un po’ in imbarazzo per l’accoglienza, ma passa subito. Mamma Viola prepara il caffè e papà Pasquale comincia a vuotare il cassetto dei ricordi. Musica per le mie orecchie indolenzite dal Natale lametino post-derby.
E allora via con la finale di Coppa Italia del ’66 a Roma con la Fiorentina (altra passione di casa Deodato) quando «ci rubarono la Coppa con un rigore inventato». E poi il treno della speranza destinazione Napoli, 27 giugno 1971, per l’appuntamento con Mammì e con la storia. E ancora l’incontro con il presidentissimo Ceravolo, la prima al “Comunale” appena ristrutturato contro l’Inter, la partita di Coppa col Torino di Lido Vieri, i parcheggi al Sansinato «perché poi non si trovava più posto», i panini alle 11 di mattina davanti ai cancelli.
Pasquale adesso è un fiume in piena, trattenuto a stento dai rimbrotti bonari delle donne di casa. E allora c’è tempo per spaziare tra le caratteristiche tecniche di Bigagnoli e la serie B di fine anni ’80, le trasferte domenicali con gli amici e le storie sullo striscione dei ragazzi di Nao. Mi parla di Luciano e Maurizio Raffaele, tirando fuori la gran sorpresa di giornata: le loro foto ingiallite ma custodite gelosamente in una vecchia busta senape delle poste. Sono immagini dei primi anni ’80, della stagione di Guerini e di quella successiva con la salvezza all’ultima giornata. Ci sono Palanca e Zunico e c’è quel lunghissimo striscione giallorosso “Catanzaro South Star. Tifosi di Nao”, orgoglio di Pasquale («all’epoca l’inglese allo stadio era di moda»), di Luciano, di Maurizio e degli altri tifosi di questo piccolo borgo.
Tra una chiacchiera politica e uno sguardo sulla crisi che lacera il tessuto sociale dell’Italia, c’è tempo per un’occhiata ottimistica sul futuro del Catanzaro di Cosentino, chiamato a riscattare due fallimenti. E mentre Pasquale confessa che l’ultima partita vista è stata Vibonese-Gavorrano («Non capisco perché c’erano i giocatori del Lamezia in tribuna che tifavano per il Gavorrano. Saremmo tutti calabresi, o no?»), si è fatto tardi. È ora di tornare a casa. Anche perché Pasquale prende sotto braccio il figlio maschio Nicola e gli intima: «Sbrighiamoci. Sta iniziando la Tonno Callipo». Un’altra passione. Giallorossa, of course.
Ivan Pugliese
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