The Annals of Thoracic and Cardiovascular Surgery, una tra le maggiori riviste mondiali in area cardiochirurgica, ha pubblicato sul numero di novembre appena uscito un lavoro scientifico che riporta i risultati preliminari di Escat III, lo studio internazionale nel quale è coinvolto anche il S.Anna Hospital e che riguarda l’autocontrollo dell’anticoagulazione con un nuovo regime di terapia a basso dosaggio.
“La pubblicazione dell’articolo – spiega il dottor Maurizio Braccio, coordinatore dello studio – è un passaggio importante. Escat III, infatti, vuole arrivare a confermare un concetto già noto ma che ha bisogno di essere suffragato dai dati scientifici derivanti dall’osservazione. Il concetto è che non è pericolosa la terapia anticoagulante in sé ma una sua gestione non ottimale”.
I risultati preliminari pubblicati, dunque, indicano che i pazienti di Escat stanno sicuramente meglio rispetto a quelli che seguono la terapia anticoagulante con metodiche tradizionali. Insomma, le aspettative dei ricercatori potrebbero trovare da qui a poco conferma definitiva. Ciò significa che le persone la cui valvola mitralica e/o quella aortica sono state sostituite chirurgicamente con una protesi meccanica, potranno beneficiare di un vero e proprio salto di qualità, sia dal punto di vista terapeutico, sia per quanto riguarda la loro qualità di vita. Attualmente, queste persone debbono sottoporsi a terapia anticoagulante, destinata a protrarsi per tutta la vita. Una terapia generalmente efficace ma difficile da gestire e non priva di rischi. Se infatti il sangue viene reso troppo liquido dal farmaco, c’è la possibilità di emorragie; in caso contrario, il rischio è il malfunzionamento della protesi. Per questo chi è sottoposto a terapia anticoagulante deve ripetere gli esami del sangue ogni 15/20 giorni, per verificare l’efficacia dei farmaci e calibrare con l’ausilio del medico la loro somministrazione. Nonostante ciò, circa il 5% dei pazienti incorre ogni anno in fenomeni di sanguinamento o denuncia il cattivo funzionamento della protesi. Se Escat III, come tutto lascia immaginare, darà i risultati sperati, si avrà un sensibile ridimensionamento delle percentuali di rischio grazie al basso dosaggio dei farmaci ma soprattutto si aprirà per i malati una prospettiva del tutto nuova: quella di potersi auto controllare l’INR, cioè l’indice di coagulazione ma anche gestire autonomamente la propria terapia, esattamente come già fanno i diabetici. Fino a questo momento, sui 1100 pazienti arruolati in Europa, solo 22 su un arco di tempo di almeno ventiquattro mesi, hanno evidenziato problemi di natura tromboembolica o emorragica. Nessuno dei ventidue fa parte del gruppo arruolato al S.Anna Hospital.
Escat III è coordinato dall’università tedesca di Bad Oeynhausen. Il S. Anna è stato il primo dei Centri non tedeschi ad essere invitato a partecipare ed è quello che, al di fuori della Germania, sta contribuendo maggiormente in termini di pazienti arruolati e di follow-up. Sono relativamente pochi i Centri in grado di partecipare a studi per i quali sono necessari un livello di professionalità del personale operante, una dotazione strutturale e una qualità di prestazioni erogate, conformi agli standard internazionali. Non è un caso che l’esperienza fatta al S. Anna con Escat III sia stata recentemente presentata dal dottor Braccio in due distinte iniziative, tenute presso i dipartimenti di Cardiochirurgia dell’università “Aldo Moro” di Bari e dell’ospedale “Silvestrini” di Perugia. Così come non è un caso che dall’esperienza di Escat sia nato il progetto per la realizzazione presso il S.Anna di una rete telematica per il monitoraggio a distanza di tutti i pazienti sottoposti a terapia anticoagulante.