Invasioni di Campo

”Massimo Palanca. Il mio calcio”

Storie di calcio nel cinema e nella letteratura: il numero zero della rinnovata rubrica “Invasione di Campo”
A cura di Fabrizio Scarfone

Soriano, Best, Brera, Fuga per la Vittoria, Viola, Hornby, Il mio amico Eric. Tutto ciò che ruota attorno a quella magica sfera di cuoio, da sempre, ha affascinato il mondo della cultura. La letteratura e il cinema, in particolare, hanno succhiato l’anima dello sport più amato. Per restituire ai tifosi, agli spettatori, ai lettori pagine e immagini che raccontano gli eventi più importanti e le piccole storie, i grandi campioni e le figure meno note alla grande platea. I risultati non sono sempre straordinari, ma l’industria culturale intorno al calcio è ormai un settore molto affollato e fertile. Così, per orientarci, abbiamo accolto l’idea di Fabrizio Scarfone che ci guiderà in questo labirinto con la sua penna sopraffina. UsCatanzaro.net ritrova una delle sue rubriche più amate. E questo numero zero non poteva che essere dedicato al lavoro di Alberto Pistilli, al nostro Massimo Palanca, al “suo calcio“. Buona lettura.

 

IP

Alberto Pistilli 
Massimo Palanca, Il mio Calcio 
To be Group 
20 euro
 

Non è mai “soltanto calcio”, in nessun caso
Se così fosse, se tutto si riducesse ai fondamentali – al gol, al dribbling o a una parata dopo il balzo – questo gioco sarebbe scomparso da un pezzo. Di certo non avrebbe resistito alle scommesse, al doping, ai tatuaggi tribali, al fiume di denaro contante, ai Moggi e al Processo di Biscardi. 
Con un po’ di fortuna, quasi come il ciclismo degli ultimi tempi, oggi vivrebbe una lunga agonia priva di sogni. 
Noi catanzaresi probabilmente ci saremmo fermati al gol di Monelli, o magari alla telefonata di Chiarella, alla finale play off giocata contro il Sora, al Lodo Petrucci, alla gestione Pittelli (davvero le occasioni non sono mancate). 
La prova che il calcio è molto più che una partita, si può trovare senza sforzo anche nella letteratura, che attorno al pallone ha spesso costruito pagine memorabili. 
Avendo cura di scegliere bene – e da questa rubrica di tanto in tanto qualche suggerimento arriverà – non leggerete cronache di novanta o centoventi minuti più rigori, ma storie di uomini lunghe una vita intera, e a volte molto di più. 
Vicende di calciatori e tifosi, misteriosi incroci di destino e libero arbitrio, vittorie, sconfitte, errori clamorosi e imperdonabili sprechi. 
Non è mai soltanto calcio. 
Provate a convincere del contrario Massimo Palanca, uno che a più di vent’anni dall’ultima partita giocata in campo, pare circondato della stessa aurea che lo consacrò O’rey ai tempi in cui viveva in scarpette e calzoncini. 
A chi lo accusò di aver pagato troppo per quella punta tanto esile, Nicola Ceravolo rispose convinto: “non credo di aver sbagliato. Palanca va proprio bene per il Sud povero e depresso. Ha la povertà dipinta in faccia. Per me, scherzi a parte, diventerà un simbolo…”. Ed era vero. Palanca innanzitutto ci assomigliava. Nessuno con il pallone tra i piedi avrebbe mai potuto rappresentare (e vendicare) meglio di lui i catanzaresi (e i calabresi) di quella generazione. 
Generazione di fatica e di talento. In partenza per lo più. Verso le grandi città, verso il nord, verso l’estero. 
Erano i tempi del grande esodo, quello rumoroso e definitivo che ci portò dentro le fabbriche e dietro le scrivanie degli uffici di mezzo mondo. Era la nostra diaspora
“Il mio calcio” – indispensabile per chiunque pensi al Catanzaro più di tre minuti al giorno – tra “foto da leggere e aneddoti da guardare”, funziona un po’ come uno specchio che improvvisamente restituisce l’immagine più autentica della nostra gente
Ai tempi di Palanca eravamo facilmente riconoscibili; non perfetti, ma noi stessi. La povertà non si era ancora trasferita dalle tasche ai cuori, e forse fu questo il segreto di un successo lungo così tanti anni. 
Non c’erano compagnie low cost in grado di riportarci a casa in qualche ora soltanto, quando la morsa della nostalgia si stringeva da qualche parte dentro lo stomaco. Ma c’era il Catanzaro in giro per gli stadi d’Italia. Sugli spalti s’incontravano amici lontani, parenti rimasti in città e tutte quelle facce compagne di un quotidiano strappato via dalle circostanze. 
Fu così, che una squadra di calcio diventò “casa”. Fu così che il calcio strinse con la vita della nostra città il suo meraviglioso legame. 
La leggenda Catanzaro non nasce dall’impiego massiccio di capitali stranieri, non include capitani d’industria e stelle gloriose. È soltanto una storia di passione, persone, nostalgie e intelligenze. C’è un pallone, e tanto altro. Ci sono molti eroi, e un solo O’rey

Sono un povero diavolo, vivo alla giornata, penso all’oggi, il domani non m’interessa. Io sono in Provincia, io sono lontano mille chilometri dai grandi centri. Io sono quello che sono e gli anni passano. Ma ho una moglie e un figlio che mi fanno sentire importante. E la sera quando me ne vado a casa, Catanzaro diventa Parigi, Roma, New York. Sarò un po’ matto ma è così”. 

 

Fabrizio Scarfone

Autore

Redazione

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