La pioggia degli scorsi giorni ha portato danni e distruzione sull’intero territorio della Regione Calabria. Già si ode l’eco dei rimproveri, delle indagini, delle inchieste e dei rimpalli di responsabilità. “Eventi eccezionali, colpa dell’incuria umana, lassismo della Pubblica Amministrazione”, da un lato. “Colpa della precedente amministrazione, è giunta l’ora di cambiare, promettiamo di mettere mano alla situazione non appena arriveranno altri soldi dal Governo centrale”, dall’altro. In mezzo il cittadino calabrese, in preda ai disagi, alla viabilità impazzita, al rischio di percorrenza di strade impraticabili. Di chi è la colpa. Semplice, la colpa è sempre di qualcun altro. La colpa è della politica, sempre più autoreferenziale, sempre più algida e distaccata dalle cose terrene del comune sentire. La colpa è dei politici. Facile, utile e pratico. Già perché dare la colpa alla classe politica attuale è un po’ come sparare alla Croce Rossa. Si centra sempre il bersaglio ma non si ferisce nessuno! Anche i politici sono d’accordo nel riconoscere le colpe della politica. Peccato che siano sempre le colpe di qualcun altro. La responsabilità, infatti, è sempre di coloro che ci hanno preceduto, il cui atteggiamento e condotta hanno reso la dimensione dello stato attuale delle cose incolmabile ed irreparabile. Eppure, chi si presenta al pubblico giudizio elettorale, dichiara sempre di poter fare meglio del predecessore. Egli si presenta al voto proprio in ragione dello sfacelo lasciato dalla precedente amministrazione, promettendo in tempi brevi di portare una “ventata di cambiamento”. Il fatto stesso di non riuscire a porre rimedio ai danni compiuti in passato sarebbe indice di inettitudine e di inadempimento della promessa elettorale. Ma in Italia, ed in Calabria in particolare, nessuno ci fa mai caso. Propongo, allora, di mettere d’accordo vecchie e nuove amministrazioni e di farla finita con questo sterile dibattito autoreferenziale. Propongo di affibiare la colpa, tutta la colpa, alle amministrazioni future, quelle che verranno. D’ora innanzi la classe politica potrà smettere di combattersi da opposti schieramenti fittizzi e potrà indiduare nel futuro scenario politico il vero motivo del disastro attuale. “Si provino Loro a mettere una pezza sullo schifo che abbiamo ereditato e che non siamo riusciti a sbrogliare…”, ecco una dichiarazione sensata!!! La verità, a mio parere, sta da tutta altra parte. È troppo facile prendersela con la classe politica che se la prende con se stessa. Il cane si morde la coda. È troppo facile parlare di stato con la s minuscola quasi a significare che sia altro da noi.È troppo facile. La responsabilità dello stato attuale della viabilità calabrese è, infatti, della pioggia. La pioggia lava via ipocrisie e falsi concetti. La pioggia lascia solo fango, ed il fango ci avvolge tutti. Senza distinzione. Tutti. La deficienza del sentimento sociale è uno dei fattori principali di perdita di collante di una realtà regionale prossima alla regressione allo stato tribale. Nessuno di noi si comporta, si muove, respira, agisce come se fosse parte, come se si sentisse parte di un contesto collettivo e comune. Si agisce per interessi individuali, di gruppo, di clan. Proprio in tema di clan, c’è un dettaglio importante che è sfuggito all’attenzione della stampa e dei reporter che hanno invaso la Procura di Catanzaro in occasione dei recenti fatti legati alle indagini del PM De Magistris. Le inchieste “Why not” e “Poseidone” ci hanno dimostrato come la “cupola” che controlla il flusso monetario in Calabria non sia formata da rudi e grezzi boss mafiosi vecchio stampo. Politici, imprenditori e magistrati sono la vera forza trainante del malaffare calabrese. La mafia non esiste, è solo una loro invenzione per giustificare le mancanze ed i ritardi di questa terra. Eppure, nessuno lo dice. La colpa è sempre di qualcun altro. |
Il clan allargato del malaffare, dunque, è il clan dominante nella struttura tribale calabra. Esso è portatore di interessi propri ed è capace di farsi carico degli interessi dei singoli cittadini questuanti che vengono ad elemosinare il “posto pubblico” per sistemare i propri figli. Diciamo la verità. Ciascuno di noi ha sognato, almeno una volta nella vita, il posto fisso in organico regionale, provinciale, comunale, rionale, circoscrizionale, palazzinaro, etc… L’immaginario collettivo vuole questi lavori improntati ad assenza di responsabilità proprie, stipendio fisso mensile garantito, orario flessibile (nel senso che si lavora quando se ne ha voglia), diritti sindacali di pausa caffé più volte al giorno, ore mattutine dedicate alla lettura del giornale. Una pacchia. Per questo, da buoni cittadini aspiranti anelanti il clan politico-affaristico dominante, ci rivolgiamo speranzosi al ras politicante rionale affinché interceda presso il caporione di zona affinché si rivolga all’attendente del portaborse del tale dirigente o segretario politico per ottenere il tanto agognato posto di lavoro. Ovviamente, i buoni politici non possono far altro che soddisfare queste istanze minute che arrivano dal popolino di cui assumono il ruolo di custode e tutore. Per questo, Essi trascorrono buona parte del loro tempo ad inventarsi nuovi posti di lavoro, nuove collocazioni, nuove poltrone inutili e ridondanti, dove collocare amici, parenti, parenti di amici o amici di parenti o amici di amici o parenti di parenti. Questo sforzo di fantasia creativa ha un costo. Il tempo dedicatogli toglie spazio ad altre decisioni meno importanti quali, appunto, quelle relative alla gestione del territorio e della viabilità. Ma non è solo una questione di tempo, è anche una questione di spendibilità di risorse. I finanziamenti di stato devono essere dirottati alla soddisfazione delle esigenze politico-elettorali. Quello che avanza, se qualcosa avanza, potrà essere devoluto ad attività minori e meno rilevanti come le politiche ambientali e del territorio. Tanto la Calabria è bella, una perla tra i mari, di cosa c’è bisogno? Di lavoro, appunto. Ben venga, dunque, il fango, ben venga la pioggia. Altri soldi saranno richiesti, altri finanziamenti potranno essere dirottati alla creazione di altre finte occasioni. Altri cittadini questuanti potranno essere allettati con promesse e miraggi. Altre elezioni potranno consumarsi su queste promesse. Spero che il fango ci avvolga tutti, ci renda incapaci di muoverci, ci trascini nell’umido della terra che abbiamo stuprato e violentato. Spero che, presto, ogni singolo calabrese, impantanato ed immobile, sia costretto a guardare negli occhi il suo prossimo, chi gli sta vicino, per leggere nella sua espressione la stessa rassegnata domanda: ma che diavolo stiamo facendo? Per quanto tempo continueremo a delegare ad altri la responsabilità del nostro futuro? Prima di ciò, occorre che il calabrese recuperi il sentimento sociale, che si riappropri del pronome personale “noi” al posto del singolare “io” e che per “noi” si voglia intendere anche chi sta fuori dalla cerchia immediata degli interessi di parte. Ma per questo, occorrerà ancora tanta pioggia e tanto, tanto fango.
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