L’OCCHIO SULLA CITTA’ – Degrado della città di Maida

riceviamo e pubblichiamo

Ospitiamo nella nostra rubrica L’OCCHIO SULLA CITTA’ una lettera pervenutaci da un nostro lettore originario di Maida che ci tiene ad evidenziare quanto di degradante ha nottato nella sua città di origine:

Vivo in una città del nord e quasi tutti le estati trascorro le ferie estive a Maida, mio paese d’origine, approfittando del buon clima e della vicinanza del mare.

Purtroppo però, in questi ultimi anni, non ho potuto fare a meno di indignarmi per il progressivo peggioramento paesaggistico, ambientale e urbanistico di una delle più suggestive zone della Calabria.

Come sono solito fare, appena sceso dall’aereo a Lamezia, ho alzato lo sguardo verso quello splendido tratto di catena appenninica sul quale si adagiano gli abitati di Maida, San Pietro e Curinga. Mi sono bastati pochi secondi per rendermi conto del nuovo, ennesimo, sconquasso ambientale che mi attendeva: lungo la dorsale montuosa si ergevano, mostruose pale eoliche, simili a spettrali crocifissi sul Gòlgota.

Il monte Contessa, famoso perché dalle sue pendici si possono ammirare i due mari, e che mia nonna raccontava essere, un tempo, luogo di pellegrinaggio, è stato praticamente smembrato per fare posto a questi nuovi orribili, giganteschi ventilatori. Io vivo in una cittadina nel bel mezzo delle Alpi e debbo dire che anche dalle mie parti, come in tante altre zone d’Italia, sono in corso severe aggressioni all’ambiente, ma posso assicurare che nemmeno all’amministratore più “fantasioso” è mai venuto in mente di far sbancare la sommità di una montagna per piazzarvi alcunché. Inoltre, in vita mia ho avuto la fortuna di viaggiare parecchio, ma solo in Calabria ho visto una schifezza simile, e sciaguratamente, proprio a ridosso del mio amato paese d’origine.

Ma le pale eoliche (che peraltro mi risulta siano state recentemente messe sotto sequestro dalle autorità giudiziarie) non sono certo il primo esempio di bruttura che ha macchiato quanto di bello Maida offriva agli occhi dei visitatori.

Da ragazzo assistetti alla devastazione della località detta “Campo”, sottostante il centro storico. Fino al secondo dopoguerra, questa zona era dedicata alla coltura ortofrutticola (venivano, per altro, coltivate le cosiddette cipolle di Tropea). Al posto degli orti e degli uliveti, sotto i quali persistono ingenti falde acquifere che sconsiglierebbero chiunque abbia un minimo di sale in zucca di costruire, sono sorti, a partire dalla fine degli anni Settanta, orribili blocchi che chiamano case, alcuni persino coperti da grotteschi tetti alla svizzera che, come si sa, sono caratterizzati da falde molto ripide per favorire lo smaltimento delle abbondanti nevicate (sic!).

Tutto ciò, ovviamente, senza il supporto delle necessarie infrastrutture, alle quali si è provveduto solo successivamente, con l’inevitabile disordine urbanistico che ne è conseguito, in barba a qualsiasi straccio di piano regolatore.

Ne risulta che la parte bella del paese, quella storica, è stata progressivamente abbandonata. Molti abitanti hanno preferito trasferirsi nei blocchi di calcestruzzo del Campo, incuranti del caldo estivo e dell’umidità invernale e, soprattutto, senza minimamente chiedersi del perché i loro avi, che conoscevano gli effetti delle periodiche alluvioni e terremoti, costruissero in alto e mai in basso…

Dal canto suo, il centro storico è stato sistematicamente stuprato grazie all’indelicatezza di molti  privati che ancora vi abitano, complice l’inettitudine delle amministrazioni comunali di destra e sinistra che si sono succedute negli anni e che hanno continuato a far finta di non vedere.

La calce ha cancellato per sempre le deliziose facciate dalle tipiche orditure di mattone e pietra, opera di esperti mastri muratori che inorriderebbero se oggi potessero vedere lo sconcio compiuto dai loro attuali colleghi. Cimiteriali infissi di alluminio hanno soppiantato ben più nobili serramenti. Qualcuno ha pure cercato di smantellare gli antichi archi, costituiti da stupendi blocchi di pietra squadrati, per il solo scopo di farvi passare la macchina. E ancora,  i terrazzi sormontanti le tante sopraelevazioni abusive hanno via via soppiantato gli splendidi e tipici tetti in coppi.

Altre colate di cemento, nel frattempo, hanno fatto scomparire, definitivamente, i resti delle mura bizantine e la facciata principale del castello medievale, simbolo del paese.

Misteriosa appare, peraltro, la sparizione progressiva delle secolari fontane di ghisa; un tempo veri e propri fiori all’occhiello dell’arredo urbano e che oggi, presumibilmente, fanno bella figura di sé in qualche giardino privato. Vicino al municipio ne resiste ancora una; ovviamente è secca, ed essendone stato scippato il capitello, viene attualmente utilizzata come pattumiera. E’ poi impossibile conoscere le motivazioni che hanno indotto qualche amministratore del passato ad eliminare il “buviere”, momumentale fontanile in località Croci all’ingresso del paese, e, più recentemente, a manomettere la secolare fontana della piazza “Castello”.

Un altro aspetto inspiegabilmente peggiorato nel corso di questi ultimi anni è la gestione del traffico urbano. Ricordo che, fino a qualche anno fa, dopo il tramonto veniva imposto il divieto di transito nella via centrale, per consentire il tranquillo passeggio serale. Vero è che oggigiorno sono rimasti in pochi quelli che vanno a piedi  (molti usano l’auto per andare a comprare le sigarette sotto casa) ma mi sarei aspettato che almeno durante la processione dell’Assunta del 31 agosto, il sindaco facesse una piccola ordinanza di chiusura del traffico in centro, onde evitare che i Valentini Rossi del luogo, puntulmente privi di casco, scorrazzassero tra la folla.

Ma la latitanza dei vigili urbani (e dei carabinieri) si può apprezzare anche nella gestione di quelli che dovrebbero essere gli spazi pubblici. 

Per esempio, il bellissimo portone sormontato da un timpano con iscrizione latina della chiesa dei Romeo (1804), oggi non si può più vedere perchè un cittadino ha pensato bene di piazzarvi davanti la propria auto con tanto di ombrellone da spiaggia per ripararla dalle intemperie.

 Quattro anni fa denunciai personalmente all’allora comandante dei vigili, un caso ancora peggiore, ovvero il comportamento di un altro individuo che sul suolo pubblico adiacente alla sua abitazione installò panchine, tavoli, gazebo e fioriere vietando a chiunque di parcheggiare, salvo ai propri familiari ovviamente. Inutile dire che la mia protesta cadde nel vuoto e l’individuo in questione continua, ancora oggi, a parcheggiare le sue due auto nel cortile pubblico, cacciando chiunque voglia fare altrettanto.

Nella città dove vivo, e in tutto il resto d’Italia, questa pratica illegale si chiama “occupazione abusiva di suolo pubblico”; viceversa, a Maida impossessarsi dei beni comunali è diventata un’allegra e spensierata consuetudine da parte di qualche furbacchione.

Molti, alludendo al fatto che vivo al nord, mi ricordano che Maida racchiude in sé i tipici mali del sud. Questa è una tesi che respingo fermamente; infatti ho avuto modo di visitare altri paesi in Calabria dalle caratteristiche storiche simili a Maida, e li ho trovati tenuti splendidamente, a tal punto che parecchi miei concittadini, avendoli visitati come turisti, ne sono rimasti molto entusiasti. Due esempi tra i tanti: Rossano e Tiriolo.

L’unica cosa che mi fa ben sperare è il fatto che, nonostante tutto, la maggioranza dei maidesi è perfettamente consapevole di quanto sta accadendo al loro storico paese. In quest’ottica, rivolgo un particolarissimo plauso ai ragazzi della Proloco che hanno organizzato, in agosto, una visita itinerante al patrimonio archeologico e architettonico superstite nel paese, alla quale hanno partecipato numerosi “turisti” come me. Vista la situazione attuale, ritengo che la vera speranza sia rappresentata proprio da questi giovani ai quali spetta il compito di riscattare gli errori impuniti di generazioni di costruttori e amministratori senza scrupoli.

Concludo esprimendo il desiderio di poter tornare un giorno a Maida, alla quale voglio maledettamente bene, e poter dire, una volta tanto: “questa volta non è peggiorato nulla”.

Carlo, Aosta

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