Slow Foodball

L’isola che c’è

Scritto da Redazione
Appuntamento con la trasferta consapevole di Beppe Luglio tra blues, cascate e pecorino

Qua l’acqua de bòtta nen trova cchiù terra

s’abbènda se ciónna uà dritta sprefonna

s’abbòtta fa schiuma remore fa fume culore… 

S’acquèta. S’addòrma.

Glie sciume mia, Neno Pisani

 

 

Dopo la trasferta di Perugia (la più bella dell’anno) e quella di L’Aquila (la più significativa dell’anno), ci tocca Isola del Liri (che dell’anno sarà una delle tante). Sì, può essere dura, ma non lasciatevi abbattere, arriveranno certamente tempi peggiori. 

Siamo dalle parti di Frosinone, all’interno della provincia più citata nella sit-com americana The Nanny, nota in Italia sin dai primissimi anni ’90 come La Tata. Chi non ricorda Francesca Cacace e i suoi tentativi maldestri di sedurre il principale ha una falla nel proprio patrimonio cultural-pop a cui rimediare. 

Peraltro il legame della cittadina laziale con gli States non si limita a qualche battuta televisiva. In Lousiana probabilmente non lo sanno, ma Isola del Liri è gemellata addirittura con New Orleans.

Tutto merito del Liri Blues Festival, una rassegna musicale che si tiene tra Giugno e Luglio ormai dal 1988 e che attira in città centinaia di appassionati ogni anno. Per chi ama il Blues – senza dubbio coraggiosi e visionari gli ideatori- si tratta di un appuntamento imperdibile. In zona sono passate leggende come Buddy Guy e Albert King (chi ascolta solo Luna Pop e Modà sappia che non si tratta di nomi qualunque).

In quei giorni d’inizio estate, con un po’ di fantasia anche i pastori di tutta la provincia diventano bluesmen, e il fiume Liri il grandioso Mississippi… Con la stessa fantasia e una certa quantità di sostanze psicotrope poi, il fiume laziale si metterà a raccontare storie di conflitti, identità, dolori, blues appunto, proprio come quello storico corso d’acqua americano.

Ma in Novembre il Liri ha poca voglia di parlare e visti i precedenti non troppo pacifici con la tifoseria di calcio locale (che a differenza degli appassionati di musica ha pessimi gusti e ha stretto una profonda amicizia con i cosentini) non è escluso si riveli pure piuttosto maleducato.

Isola del Liri rimane comunque – anche di questi tempi e nonostante le cattive frequentazioni dei propri abitanti calciofili- una cittadina di 12mila abitanti molto particolare con una forte, fortissima identità determinata ancora una volta dall’acqua. 

Il centro storico è infatti una vera e propria isola posta tra i due rami del fiume Liri. All’estremità rocciosa dell’isola c’è il Castello Boncompagni-Viscogliosi contro cui il fiume sbatte dividendosi in due bracci che precipitano con altrettante suggestive cascate. Solo dopo, a valle, quelle acque si  riuniscono dolcemente per non lasciarsi più (da qui la poesia in testa al pezzo di oggi). 

La cascata più piccola è detta del Calcatoio, l’altra è invece definita con apprezzabile semplificazione “la Cascata grande”. Alta ben 27 metri è stata ritratta da Jean-Joseph-Xavier Bidauld con due lavori presenti oggi da Sotheby’s a New York e al Louvre di Parigi.

Una passeggiata intorno ad Isola Liri vi aiuterà a scoprire la vocazione industriale che questa città ha posseduto soprattutto nel passato. Qui le fabbriche (cartiere, lanifici, feltrifici…) non incombono sulla comunità ma ne sono parte integrante all’interno dei confini del centro storico. Gli opifici hanno porte non troppo diverse da quelle delle case e oggi che il processo di deindustrializzazione ha toccato l’apice dopo il declino successivo agli anni ’60, in molti chiedono di trasformare quei vecchi e piccoli luoghi di lavoro in spazi di ritrovo e musei d’archeologia industriale. In Germania ci sono riusciti con risultati inimmaginabili, chissà…

La cucina tradizionale ciociara (l’antica regione che comprende Isola del Liri) ha radici antiche e custodisce un mosaico di sapori estremamente ricco. Ai calcioturisti segnaliamo il Pecorino, uno dei formaggi semistagionati più conosciuti di questa terra che viene prodotto da generazioni solo con latte ovino. Ha un sapore aromatico e leggero ed è stato recentemente inserito nel particolare atlante dei prodotti tipici dell’Istituto nazionale di sociologia rurale.

Le paste fresche sono molto conosciute al di fuori della regione (si pensi alle fettuccine) e sono per lo più  create con impasti di semplice acqua e farina. Da provare certamente i Paternostri, realizzati con l’utilizzo di utensili metallici appositamente progettati.
Il Timballo – realizzato originariamente con lasagne di pasta all’uovo farcite da sughi di carne e formaggio fresco- c’è da scommetterci, conquisterà i cuori dei calcioturisti giallorossi.  Un versione  particolarmente ricca di questa ricetta è quella con l’uovo sodo, le polpettine di carne, la mozzarella di bufala e la salsa di salsiccia: un vero piatto unico.
Tra i secondi sono celebri i piatti a base di agnello e di capretto, infornati o brodettati, anche in relazione al periodo dell’anno e alla disponibilità delle carni. 
Particolarissime alcune ricette speziate come il Garofolato di Veroli o il cosciotto di capretto alla Ciociara, infornato con copiose erbe aromatiche. Nelle zone del Cesanese si trovano oggi alcuni ottimi brasati al vino e salmì di lepri e di conigli. Il pollo alla ciociara è cucinato semplicemente al tegame con vapori di vino e aceto. Tantissime le minestre e le zuppe a base di verdure locali.
 
Ottimi i broccoletti, le cicoriele verze. I legumi la fanno da padrone in tante preparazioni.
 
Squisiti i funghi preparati in zuppa, alla piastra e in mille altri modi. Il tartufo è molto diffuso e di ottima qualità in tutta la Ciociaria. In questo periodo dell’anno provate le castagne di Terelle, magari alla fine del pranzo, in un capolavoro di pasticceria che le incorpora in una gustosissima torta al cioccolato. Da bere consigliamo un Cesanese del Piglio DOCG, un rosso che fu portato alla mensa di papi e Re e che non può sfigurare sulla tavola di chi vuol diventare primo della classe… 
Beppe Luglio

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Redazione

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