Caro Catanzaro,
ti scrivo per chiederti scusa. Lo confesso, domenica 7 giugno ho trascorso il pomeriggio in tutta tranquillità, mentre 11 giovanotti in maglia giallorossa si facevano gabbare da una squadra dal nome strano e senza stadio. Certo, verso le 18 mi sono collegato a internet per sapere il risultato: trenta secondi, un vaffa pronunciato ad alta voce e poi sono ritornato a fare altro. Dolore? No, solo un sorriso amaro. La sera, poi, era tutto dimenticato. Vedi, adesso potrai pensare che in realtà di te non mi sia mai importato nulla. Ecco perché ho deciso di scrivere questa lettera, per spiegarti come mai sono arrivato a questo punto. Vedi, sei stato (sei) un grandissimo amore. Unico. Irripetibile e non sostituibile. Ma proprio questa passione sfrenata mi ha fatto fermare. Non sono le delusioni e la sofferenza. Il gol di Monelli mi ha fatto piangere, ma dopo un’ora era pronto a starti vicino più di prima. A Lecce ho esultato, cantato e perso la voce per una salvezza di C1 cancellata in modo vergognoso: allora con tanti altri siamo andati sulla tangenziale e ci siamo sdraiati a terra perché ti (ci) avevano estirpato il cuore. Anche lì credevo di sprofondare. Dopo una settimana, però, avevo voglia di ritornare in curva per urlare il tuo nome. E non mi fregava nulla se dopo aver visto al Ceravolo-Comunale perdere la Juve, il Milan, la Roma, l’Inter (ah, se fosse entrato quel palo di Sabato…), adesso mi toccava l’Ostiamare, il Celano, il Molfetta, l’Akragas. In campo c’era il mio Catanzaro. Bastava. E più le cose andavano male, più l’amore cresceva. La sconfitta con il Sora mi ha tolto il sonno per diversi giorni, quella con l’Acireale l’ossigeno. Credevo di morire, tra lacrimogeni e cariche della polizia. Eppure non ci avevano spezzato. Poi qualcosa sembrava cambiato: il ripescaggio ci ripagava dei tanti torti, la promozione in B riempiva di adrenalina un’intera tifoseria: il Catanzaro era tornato. Forse è stata anche colpa nostra. Forse eravamo troppi contenti per sollevare dubbi. Fatto sta che non ti abbiamo difeso. Eppure si capiva benissimo che non c’era Ceravolo o Merlo a prendersi cura di te. Si capiva benissimo che dietro falsi sorrisi e rassicurazioni da politicanti, c’era il ghigno della morte. Quando il velo è caduto, ti giuro abbiamo fatto il possibile per invertire la rotta. Non tutti, questo è bene che tu lo sappia. Mentre lottavi per la vita c’è chi ha preferito proteggere i propri interessi, preferendo cibarsi della carogna piuttosto di lasciare volare in alto l’Aquila reale. Così, queste persone che dicevano di amarti ti hanno preso per mano e condotto a Samarcanda. Sai, la stessa sorte è toccata ad altre società gloriose: il Napoli, la Fiorentina, il Torino. Mica la polisportiva vattelappesca. E’ accaduto che dal funerale si è passati alla resurrezione: via dal tempio i profani, dentro una società forte, composta da innamorati disposti a mettere sul piatto soldi veri e passione autentica. Da noi no. Si è buttata nel cesso anche questa possibilità. Qualcuno ha pensato bene di divorare anche il pulcino. Sempre in nome dell’amore, ma il loro e non certo il tuo. Ecco, questo è stato troppo per me. Non il Sora, non l’Acireale, non la C2. Ma questo schifo senza fine. Caro Catanzaro, sai che cosa penso: da quasi tre anni stai giocando da qualche parte e vincendo, ma purtroppo neppure la Gazzetta dello sport mi scrive dove. Magari è uno stadio sopra il cielo, c’è Ceravolo seduto in tribuna e Sandro Ciotti sta facendo la radiocronaca. Magari abbiamo segnato da calcio d’angolo e Paolo Valenti sta leggendo i risultati: all’Olimpico Catanzaro batte Roma 3-1. Nel frattempo in via Paglia c’è un sosia che scende in campo al tuo posto. Sì, ha la maglia giallorossa (non sempre e quando c’è è pure brutta) ma non è il Catanzaro: è un sosia. Abbiamo anche un presidente sosia: dicono sia Pasquale Bove. Non può essere vero: Pasquale ha passato anni in curva, ti ama, non ti vorrebbe mai vedere in queste condizioni. E’ di sicuro un sosia: ha persino scritto in un comunicato pseudo ufficiale che i tifosi giallorossi sono stati al di sotto delle aspettative! A pensarci bene c’è un proliferare di sosia. Il direttore generale è il sosia di Gianni Improta. Non può mica essere il baronetto quello che da quattro anni è avvinghiato alla poltrona come se fosse oro colato. Il vero Improta ci ha portato in A con un gol a Reggio Emilia, questo ci ha preso in giro dicendo che non avrebbero mai venduto Corona (a Catania ancora ridono) e non ci sarebbe mai stato il fallimento. Non pago, è ritornato sul luogo del delitto come se nulla fosse accaduto, chiamato se non ricordo male da un senatore al quale Totò avrebbe detto “mi faccia il piacere” e confermato dal sosia di Bove. Nell’ultimo anno, poi, è arrivato anche il sosia di Giuseppe Soluri. Quello vero era il nostro Ameri dei tempi migliori, ha raccolto l’eredità di Giacomo Mancini per far vivere una storica testata giornalistica, ha rischiato di affossare le sue aziende per il Catanzaro. Poi un attimo prima della fine si è fatto da parte, perché non voleva un cadavere. Questo sosia, invece, a parte qualche lacrima di circostanza ha permesso alla società di fare tabula rasa della comunicazione: unica squadra professionista senza un sito internet. E lasciamo stare l’organizzazione interna: la Santacroce di Bobò Davoli era avanti anni luce. Adesso capisci, caro Catanzaro, perché ho congelato il mio amore. Capisci perché non mi batte il cuore come una volta. Sappi, però, che non ho perso le speranze. Mio figlio ha un anno, cresce all’ombra di Milano. A chi mi chiede per quale squadra tiferà, rispondo: Catanzaro. Di fronte vedo occhi stupiti e sguardi scettici. Non sanno che cosa provo dentro. Certo, tu mi devi aiutare. Scaccia via tutti questi sosia, riprendi il tuo posto. Non importa in quale serie. Fosse pure la Terza categoria, mi rivedrai in curva a sostenerti. E stai sicuro che ci sarà molta più gente di adesso. Mio figlio compreso.
Francesco Ceniti
Lettera del Direttore Francesco Ceniti
al caro CATANZARO