Nelle ultime settimane il Catanzaro ha perso la testa della classifica, ha smarrito il suo gioco e si avvia a disputare i play off in condizioni psicofisiche deficitarie. Eppure non è questa la notizia. Dichiarazioni ufficiali, voci e dati di fatto lasciano intendere che il calcio a Catanzaro si trovi ancora, a distanza di soli quattro anni dall’ultima volta, a un passo dalla fine. Senza alcun paracadute normativo, senza alcun lodo salva calcio, la caduta sarebbe inesorabile, e i suoi effetti forse permanenti.
In questi giorni l’ex presidente Claudio Parente è stato eletto al Consiglio regionale con quasi 4mila preferenze e l’ex amministratore delegato Massimo Poggi ha raccontato la sua verità, in merito ai giorni che portarono alla scomparsa dell’Uesse, a stampa e Tv. Non so voi, ma io non ho alcuna voglia di verificare punto per punto la storia di Poggi. I processi di revisione di un qualsiasi fatto richiedono tempo, serenità e serietà: requisiti che sui tre colli la collettività per ora non possiede. Figuriamoci i revisori.
Oggi è soltanto il bisogno la chiave di tutto quanto si muove in Calabria e a Catanzaro. Il bisogno ci fa accettare un lavoro mediocre e mal pagato, il bisogno ci costringe alla rinuncia di alcuni diritti inalienabili, il bisogno ci induce ad accettare un quotidiano sempre più lontano dalle nostre aspettative. Ma il bisogno è ampiamente giustificato da un istinto animale profondamente radicato dentro ognuno di noi che ci porta a considerare il dovere alla sopravvivenza, innanzitutto. Eppure ci sono campi della nostra vita in cui il bisogno non dovrebbe entrare affatto. Zone chiare e limpide di esistenza in cui rivendicare la nostra natura di esseri razionali. Il calcio, indubbiamente, dovrebbe essere lontano mille miglia dal bisogno, e invece vicinissimo a quei sentimenti quasi assoluti che aborrono il compromesso. Per questa ragione non possiamo accettare improbabili ritorni o nuove “mezze figure” soltanto mossi dal “bisogno di calcio professionistico”.
La “pretesa”, oggi, deve essere la chiave. Ogni catanzarese che almeno una volta abbia esultato e sofferto per la squadra di calcio della sua città deve pretendere un futuro migliore: non necessariamente vincente, ma dignitoso. La strada non dobbiamo inventarla, è segnata e documentata in realtà anche più complesse e difficili della nostra.
Non intendo essere ambiguo, mi rendo conto che la “pretesa” di cui scrivo è un passo dietro al ricatto, eppure non ha niente di barbaro e incivile. È il primato della politica sull’economia. Una correzione necessaria, praticabile e praticata (succede a Foggia, Genova, Siracusa) di un mercato troppo libero e lontano dalla gente per la quale è stato pensato.
Rosario Olivo, Michele Traversa, Wanda Ferro e chiunque sia legittimato a rappresentare il potere politico di questa città e della sua provincia, hanno il dovere di convocare immediatamente gli imprenditori catanzaresi ed esprimere chiaramente la volontà pubblica di assicurare un futuro dignitoso al Catanzaro calcio. Non è più sufficiente la moral suasion. Serve una posizione netta, una richiesta frutto di un ragionamento complessivo che riguardi anche la fisiologica interazione tra pubblico e privato.
Un giorno le somme dovranno essere tirate anche all’interno della tifoseria: bisognerà capire per esempio come il signor Aiello abbia potuto assurgere, in breve tempo e senza garanzia alcuna, a ruolo di salvatore del calcio catanzarese. Ma non è questo il giorno.
Oggi è arrivato il momento che il catanzarese pretenda. E che finalmente riscuota.
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Giugno 2005. Mentre l’US Catanzaro sta per scomparire dalle mappe calcistiche (ma ancora non lo sa), anche a Foggia la situazione non è delle migliori, nonostante il fallimento patito l’anno precedente a stagione in corso. La squadra, con Morgia in panchina, ottiene discreti risultati nel campionato di C1. Ma la società è in crisi. Il patron Coccimiglio, imprenditore edile toscano, non riesce più a far fronte agli impegni finanziari. Per un mese la città è in subbuglio. Coccimiglio, per mollare, avanza delle pretese. Le istituzioni, in primis il sindaco Ciliberti, si mobilitano per avvicinare la classe imprenditoriale foggiana. Il tavolo delle trattative è complesso, ma a fine giugno la situazione si sblocca. Coccimiglio si fa da parte. La società passa nelle mani di dieci imprenditori foggiani che si accollano due milioni di euro di debiti, si dividono il pacchetto azionario e riescono a iscrivere in extremis la squadra al campionato. Per un brevissimo periodo di interregno, l’amministratore unico della società è proprio il sindaco Ciliberti. Come DG viene richiamato un nome storico del calcio foggiano, Peppino Pavone, guru di Zemanlandia. A gennaio del 2008 Coccimiglio finirà agli arresti per bancarotta fraudolenta. Il Foggia, invece, si salva dal secondo fallimento in pochissimo tempo. E dopo una stagione di assestamento, sfiorerà per tre anni consecutivi la serie B, sfuggita sempre ai play-off. A Foggia è stato fatto. A Catanzaro si può fare. Si deve fare.
Fabrizio Scarfone – Ivan Pugliese