Ad un anno dallo scioglimento del consiglio comunale di Lamezia Terme per infiltrazioni mafiose incominciano ad emergere gli elementi che costrinsero il consiglio dei ministri, il 31 ottobre dello scorso anno, ad adottare la drastica misura. Nelle cento pagine che compongono una parte della relazione sugli accertamenti eseguiti emerge ”un sussistente, concreto e oggettivo tentativo di condizionamento da parte della cosche lametine ”volto anche a recuperare i beni confiscati”. Infatti dalla pagine della relazione emerge che ”c’era un progetto concordato tra un amministratore ed esponenti di una nota famiglia mafiosa lametina volto ad eludere gli effetti della misura ablativa e quindi finalizzato al recupero di parte degli immobili confiscati alla stessa famiglia”.
Infatti nell’ambito del procedimento penale 7412 e 226 della Dda, nel mese di novembre del 2001 e nell’agosto del 2002, vengono intercettate delle conversazioni tra ”un elemento di spicco di un clan mafioso, nonche’ proprietario di parte di bene confiscati alla sua famiglia e la sorella Maria”, dove si fa, appunto, specifico riferimento alla vicenda dei beni confiscati. Dal contenuto della conversazione, nella parte in cui la competente autorita’ giudiziaria ha autorizzato la divulgazione, emerge con chiarezza che ” un amministratore aveva assicurato alla sorella Maria che se la sarebbe vista lui, di stare tranquilli che gli handicappati da loro non li avrebbero messi”.
E nel decreto di scioglimento del consiglio comunale di Lamezia Terme entrano a pieno titolo gli attenti ”con matrice politica”, compiuti contro alcuni esponenti politici. Quattro pagine, infatti, della relazione che e’ stata inviata al ministro dell’ interno nel mese di settembre del 2002, sono dedicate agli attentati con matrice politica che sono stati compiuti. In quelle quattro pagine, sono ampiamente descritte le motivazioni e sono stati ricostruiti nei dettagli tutti i particolari, il movente e sono indicati anche i nomi dei mandanti.
Insomma sullo sfondo di una guerra tra famiglie mafiose a Lamezia Terme si faceva strada anche quella stragista. L’obiettivo? ”Marcare la propria signoria territoriale”. Il ricorso a minacce ed intimidazioni, come programma principale di aggressione, infatti, per gli investigatori venne interpretato come un piano strategico per piegare alla volonta’ ”mafiosa” i poteri politici, perche’ spiegarono, ”l’utilizzo delle minacce e delle intimidazioni sembra essere collegato ad una crescente preoccupazione della ‘ndrangheta di perdere il consenso e l’influenza sul territorio, considerato di importanza vitale per la sopravvivenza”.
Gli ordigni, in entrambi gli episodi intimidatori, sono stati confezionati con la stessa tecnica e con identica fattura. Infatti, la polvere utilizzata era stata collocata all’interno delle caffettiere. Particolare questo che ha incuriosito gli investigatori ai quali, appunto, non e’ sfuggita l’analogia. due ordigni avevano lo stesso sistema di innesco. Erano stati preparati per dare la possibilita’ materiale all’attentatore, o agli attentatori, di potersi mettere a riparo dalla deflagrazione e quindi allontanarsi dal luogo con sicurezza. Elementi questi attentamente valutati ed analizzati scientificamente che ha indotto gli inquirenti a ritenere che gli ordigni siano stati confezionati da una sola persona. (CNN 18.12.2003)
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