Ho conosciuto Gianni Di Marzio che ero poco più di un neonato. L’ho visto per l’ultima volta, prima di una lunga pausa, a Catania nel 1983, l’anno in cui riportò il Catania in serie A.
Avevo sette anni, e i ricordi dell’epoca non sarebbero sufficienti a scrivere su di lui niente che un qualsiasi appassionato di calcio e del Catanzaro dell’epoca non sappiano già.
Ma qualche anno fa è successo che ci siamo rivisti in Inghilterra per un capodanno tra amici, e sono felice che sia successo. Perché quei tre giorni passati insieme sono stati divertenti, densamente divertenti. Non ci si vedeva da trentacinque anni, eppure sono bastati trentacinque secondi per parlare come se non ci fossimo mai persi.
Sì, era proprio così facile. E rivederlo nel suo contesto ideale, circondato cioè da tanti dei suoi ex calciatori, è stato illuminante. Perché se sono cresciuto sentendomi dire dai protagonisti come la forza del gruppo fosse stata determinante per le vittorie del periodo più bello che il nostro Catanzaro ricordi, in quei tre giorni Gianni me lo ha offerto alla vista nel modo più diretto.
Ero seduto accanto a lui a scherzare e raccontarci un po’ di cose mentre dall’altro lato della sala si discuteva (tra il serio e il faceto) se il fortissimo Paolo Braca, immancabile nelle nostre rimpatriate tra amici, potesse essere considerato o no un precursore del gioco tra le linee. E Gianni, perentorio e a tutto volume come al suo solito, risolveva la questione con due parole: “Paolooo, ma quann mai ch’eri nu ciess…“.
Quando poi, dopo cena, mi prende sottobraccio per fare due passi fuori, mi parla solo del Catanzaro e di quegli anni a suo dire fantastici.
Ma non mi parla di calcio, non mi racconta di azioni di gioco o partite memorabili. Mi parla dei miei amici, dei protagonisti di quei successi sul campo dipingendoli per quello che erano fuori dal rettangolo verde. Mi parla di psicologia, delle parole dette e non dette per risolvere i loro problemi e aiutarli a vincere.
Io sinceramente non ho idea di quale fosse il credo tattico di Di Marzio e in realtà sono convinto che non gliene fregasse niente, che in fondo non ne avesse mai avuto uno. Gianni era sicuramente uno che capiva e conosceva il calcio, e lo conosceva a 360 gradi. Chi segue il Catanzaro da sempre sa quanto fosse abile a prevedere le situazioni e ad agire per sfruttarle a suo vantaggio.
Credo che facesse lo stesso con la testa delle persone, dei suoi calciatori, ma anche dei tifosi e dell’ambiente intorno alla squadra, a cui riconosceva un ruolo determinante.
E il suo essere totalmente senza limiti né filtri, di pensiero e di comunicazione, credo sia stata la sua forza principale nella gestione degli individui, del gruppo e di tutto ciò che vi gravitava intorno.
Del resto, è bastato vederlo all’opera su un taxi nella fredda e grigia Leicester per capire di cosa fosse capace e dell’impatto che aveva sulle persone. Avevamo i finestrini abbassati e la gente che camminava sul ciglio della strada si girava verso di noi con l’espressione incuriosita, quasi preoccupata. “Tranquilli, sta solo parlando Di Marzio, it’s all good“, gridavo per tranquillizzarli.
Gianni era imprevedibile e furbo, la furbizia tipica delle persone intelligenti. E quando se ne vanno le persone intelligenti mi dispiace sempre un po’ di più.
Poi sì, era divertente, dannatamente divertente. E allora voglio ricordarlo così, al centro sportivo del Leicester City mentre spiegava alla giovane receptionist dai tratti indiani, un po’ in italiano e un po’ in napoletano, quanto diavolo fosse forte Massimo Palanca. Che era proprio lì, accanto a noi.
Grandissimo Gianni, mi hai fatto scialare.
Si dice sempre che bisogna guardare verso il futuro, certo è così, ma quando vedi una foto del genere con Di Marzio, Ranieri e Palanca insieme, a un vecchio tifoso come me viene un gran magone e non può fare a meno di pensare al passato.
…… con orgoglio e nostalgia di quel magnifico calcio. It’s all good !!!!!
Sarai sempre con noi. Ciao grande GIANNI
Che cazzo…A pensare ad oggi viene uno sconforto mortale