Iannelli sta a Di Corcia, come Mancinelli sta a Di Dio? Non lo so, ma la tentazione di proporre e riproporre paragoni già fatti è forte. Una cosa è certa: il Catanzaro per la straennesima volta perde una ghiotta occasione e rigetta nello sconforto i più di diecimila accorsi al Ceravolo.
Queste chiamiamole “lezioni” che si ripetono nel tempo ma (ahinoi) ancora non hanno insegnato nulla e purtroppo, forse continueranno a non insegnare alcunché a chi continua a stare indifferente innanzi ad una esigenza palese di una comunità che anche ieri al gol di Iannelli ha sollecitato non poco le fondamenta del ristrutturato Ceravolo.
Malgrado tutto bisogna dire “grazie” ma un grande grazie, al vero artefice del miracolo (perché di miracolo trattasi) 2008/2009 non portato a compimento, ma non per questo meno degno di elogi: Mister Provenza. Un uomo di cultura, un professionista che raramente il mondo del calcio ha la fortuna di annoverare tra i propri adepti. Anche il mister avrà fatto i suoi errori, ma questo è fisiologico così come è (forse…) normale che una squadra conosca momenti di calo, ma questi di certo non dovrebbero caratterizzare le fasi topiche della stagione.
Una stagione iniziata in sordina e proseguita oltre ogni rosea aspettativa con una Società perennemente votata all’arte dell’arrangiarsi con richieste a destra e a manca ed un impianto consegnato in toto soltanto all’ultimo appuntamento utile. Richieste rimaste senza riscontro alcuno da parte di chi avrebbe dovuto e (francamente) potuto dare una mano.
Chi scrive non è certo che a Catanzaro l’amore per il calcio sia morto. Tutt’altro. Le presenze di ieri lo hanno certificato a tutti coloro che sbandierano questa non meglio dimostrata teoria (e forse lo fanno dolosamente, finalizzando il tutto all’annosa moda dello scaricare le responsabilità agli altri…).
La verità è che senza capacità manageriale, cultura (vera) d’impresa e non…, supporto economico serio e pianificazione con la volontà vera di raggiungere obiettivi seri, non si va da nessuna parte. Al massimo si sarebbe potuti andare anche in (oggi la chiamano così) prima divisione, e chi scrive avrebbe fatto ugualmente le presenti osservazioni. Bove, Soluri e Aiello (sopraggiunto in itinere) hanno fatto quello che era nelle proprie possibilità e per questo sono da lodare. Gli organigrammi però costano e l’organizzazione societaria è propedeutica al raggiungimento di qualsivoglia obiettivo.
Contradditemi se sbaglio. Il Cosenza calcio ha iniziato il campionato sbandierando ai quattro venti il concetto che il primo posto in graduatoria era “cosa sua”. Lo ha fatto capire in primis alla Lega e di seguito ai competitors, alla stampa, ai propri stipendiati, della serie “capolista predestinata”. La società ha pianificato il tutto sin dalla promozione dalla “D” alla seconda divisione. Lungi da chi scrive innalzare ad esempio l’organizzazione del Cosenza calcio a distillato di perfezione assoluta. In questa sede si vuole soltanto sottolineare il concetto che il volere, corredato dai giusti valori aggiunti, è potere.
Da anni (da Nicola Ceravolo) a Catanzaro non c’è un vero Progetto e non c’è un’intellighenzia politico/imprenditoriale in grado di proporsi con personalità e spessore.
Sarà che Iannelli aveva segnato, ma dopo dieci minuti il Pescina pareggiava per poi dilagare tra lo sconforto dei presenti, sono tutti elementi di una cronaca sfortunata, ma non solo. Il centrocampo giallorosso è stato irriconoscibile, qualche elemento ha tirato “troppo” il fiato sperando che… ed invece… Se gli eventi si ripetono sempre con le stesse caratteristiche, non tutto è da attribuire al mero fato o (ancora peggio) a leggende metropolitane di pessimo gusto. Al seguito del Pescina? Non di certo migliaia di unità… a proposito, che fine hanno fatto Sora ed Acireale? Storie viste riviste e scandalosamente rivissute ancora una volta.
La stessa squadra che aveva zittito il San Vito ha tremato innanzi ai propri tifosi innanzi al Pescina. I conti non tornano e non tanto per l’assenza di Max Caputo (sempre prezioso nel corso di tutto il campionato), quanto per l’atteggiamento colpevolmente arrendevole degli undici presenti in campo. La rincorsa disperata a fine gara non è bastata ad evitare l’ennesima beffa.
Da una sconfitta del genere si possono avere due generi di riscontri: una resa incondizionata con echi di disfatta integrale che trascinino nella disfatta anche tutto quello di positivo che è stato fatto, oppure una voglia matta di ripartire con chiarezza salvando quantomeno il progetto tecnico con ambizioni chiare e soprattutto partners di spessore se possibile non soltanto dal punto di vista economico.
Una piazza come quella di Catanzaro, che porta alla finale playoff di seconda divisione tutta quella gente non può prodigarsi in difficili esercizi di autocommiserazione o ancora peggio di auto-sottostima, deve gioco forza pretendere il meglio.
Orgoglio, onore e tutti i valori che dovrebbero muovere qualsivoglia progetto di vera rinascita non possono essere assenti in una Piazza come quella giallorossa. Molte, anzi purtroppo troppe volte le Aquile hanno saputo rialzarsi, l’augurio è che sappiano farlo anche questa volta in modo definitivo e che il Popolo Catanzarese inizi a pretendere, si, PRETENDERE quello che merita con una pressione ed una partecipazione costanti. Le “altre” cause della disfatta le lasciamo ai puristi della catanzarologia, ora l’importante sarà lavorare per qualcosa di serio e per obiettivi degni delle Aquile Giallorosse.
Im…“prenditori” catanzaresi, Managers con cravattone allegate: SVEGLIAAAAAAAAA la figuraccia l’avete fatta e la farete solo voi con la vostra ignavia e la vostra colpevole assenza che denotano solo la vostra più che certificata ignoranza.
Giuseppe Mangialavori