C’è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato
e c’era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato.
È tempo che sfugge, niente paura
che prima o poi ci riprende
perché c’è tempo, c’è tempo c’è tempo, c’è tempo
per questo mare infinito di gente.
Il critico televisivo del Corriere Aldo Grasso, scrive che il magone è incapace di esprimersi con manifestazioni esagerate: conosce solo il sospiro. Probabile che abbia ragione e potete verificarlo da voi spendendo un paio di minuti (ma diventeranno un paio d’ore, c‘è da scommetterci) tra le pagine del forum di puntonet. In particolare faccio riferimento ad un thread dell’utente rapace che raccoglie parte delle foto caricate online da Gianfranco Simmaco, mai come oggi esempio di tifoso tanto esuberante quanto puro (o con le “mani da fornaio” come ama definirsi).
Un archivio d’immagini per le quali dovrei utilizzare aggettivi che mi hanno insegnato ad impiegare con estrema cautela: magnifiche, straordinarie, emozionanti, stupende. Ma come potrei rimanere equilibrato davanti ad una foto di Michel Platini a centrocampo, lì nel vecchio Militare, lo stesso stadio rimasto chiuso per un intero campionato a causa di una società fallita e incapace di garantire l’apertura dei cancelli?
Come potrei evitare di emozionarmi osservando Carletto Mazzone che guida in perfetta forma l’allenamento di Nicolini e compagni? E come potrei impormi di non sospirare di fronte alla passeggiata di Palanca, Ranieri e Orazi? Tranquilli ed eterni, quasi fossero i Beatles nella copertina di Abbey Road. Molti tra di noi sostengono che indugiare sul passato sia deleterio. E anzi arrivano a giurare che senza quel passato tanto ingombrante, la nostra vita di tifosi sarebbe molto più semplice. Niente di più sbagliato. Chi sostiene questa posizione dimostra di non conoscere a sufficienza la nostra storia. Il mito del Catanzaro non è nato sui miliardi di un petroliere arabo. Le fondamenta della “Regina del sud” non sono affatto aristocratiche. Il “Timore del nord” ha costruito la propria fama con sudore e fatica. Può essere – e quasi certamente è così – che il calcio di oggi sia completamente differente. Tutto è probabilmente cambiato in modo irreversibile: a partire dagli attori principali (i calciatori) per passare a quelli secondari (dirigenti) e finire alle comparse (media e procuratori). Una cosa però di sicuro non è cambiata: l’entusiasmo dei tifosi.
Sì, forse la miseria e la paura del fallimento che contraddistinguono la nostra epoca hanno travolto anche qualcuno di noi trasformandolo in una sorta di politico di bassa lega dominato dall’interesse personale. Però lo sguardo davanti alla propria passione…quello è rimasto intatto.
Ad Ascoli non c’erano più i pantaloni a zampa d’elefante, i baffoni scuri o le cinquecento con il tettuccio apribile, eppure se guardate attentamente i volti dei tifosi del ventunesimo secolo, vi accorgerete che non sono molto diversi da quelli del ventesimo. Addirittura qualcuno fra quelli che aveva avuto la fortuna di assistere all’epopea del grande Catanzaro, dopo quell’ultima partita contro il Chieti arrivò a dire: “Ora posso anche morire“. Come si fosse chiuso un cerchio.
E chissà dove sarà ora tutta quella gente che raggiunse le Marche con ogni mezzo di trasporto o quella che affollava la stazione di Catanzaro Sala (tristemente dismessa anche quella) ai tempi degli esodi della serie A.
“Oggi, una città della Calabria, Catanzaro, è in viaggio“. Lo ricordo perfettamente, è l’attacco di un pezzo pubblicato sul Corriere dello Sport nel giorno di Catanzaro-Chieti. Ci giocavamo la serie B.
E oggi? Che fa quella città della Calabria? Aspetta. Non un “cosa”, e neanche un “quando”. Semplicemente aspetta. Le promesse dei candidati a sindaco non fanno neanche più notizia tanto erano scontate. E il tempo passa. Senza più una speranza. Forse, però, in questi giorni da linea d’ombra le foto che Gianfranco Simmaco ci propone si portano dietro una domanda. La solita inevitabile domanda che dal 2006 ci perseguita.
Che ne facciamo del Catanzaro? Possiamo metterlo in una teca. Proprio come ha fatto il Capostorico. E stare lì ad ammirare foto bellissime, ricordi capaci ancora d’inorgoglirci nonostante il bianco e nero, nonostante il Tempo. Palanca, Mazzone, Bivi, Massimo Mauro, Claudio Ranieri, Borghi.
Oppure possiamo cogliere la sfida dell’esistenza, che mettendo un giorno appresso all’altro ci ricorda la differenza tra ciò che vive e ciò che è morto. Da queste pagine le abbiamo provate tutte, perchè prima che cronisti siamo tifosi. Appelli, inchieste, richieste… e ormai quasi siamo stanchi. Come ci trovassimo al rientro da una lunga trasferta dopo una sconfitta. Il tempo di decidere è arrivato: la teca o un’altra impresa. Fate voi, non esiste altro.
Ma non sporcate ancora il Catanzaro con la terza via della miseria.
Fabrizio Scarfone