Vi abbiamo raccontato (e ricordato pochi giorni fa, vedi Cosenza-Catanzaro: cosa è successo prima, durante e dopo l’ultimo derby) la nostra versione dei fatti, mai smentita da alcuno, su quanto accaduto per la gara del 3 Marzo scorso a Cosenza e su quali fossero state le carenze organizzative di chi doveva gestire l’ordine pubblico dell’evento: ora arrivano cinque sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale che disegnano un quadro di approssimazione investigativa e gestionale sconcertante.
La cosa ancora più assurda è che ciò possa essere servito al CASMS (vedi Per Cosenza-Catanzaro il CASMS suggerisce un pesante divieto) per chiedere di proibire la presenza dei residenti in provincia di Catanzaro al San Vito-Marulla per il prossimo derby di Santo Stefano.
Scambi di persona
Per tre dei ricorrenti è palese per il TAR, che lo evidenzia nelle sentenze, il fatto che essi siano stati scambiati dalla Questura locale con altri:
“la ricostruzione operata dalla resistente amministrazione non è risultata supportata né dalle immagini acquisite né dal raffronto delle stesse con le foto del ricorrente, in quanto il braccio sinistro del guidatore del mini van […], visibile al momento dell’ingresso presso il centro sportivo Real Cosenza, è ictu oculi privo di tatuaggi, diversamente dal braccio sinistro dell’esponente.“
“in base alle immagini presenti in atti il ricorrente varca infatti, in maniera chiara ed evidente, il cancello prima del suo ribaltamento.“
“la ricostruzione operata dalla resistente amministrazione è risultata ictu oculi priva di riscontri idonei nel configurare il ricorrente quale autista del mini van […] e ciò anche dall’esame delle immagini e dal raffronto delle stesse con le foto del medesimo ricorrente.“
Per la Questura i tifosi giallorossi “divellano” il cancello e lo ribaltano …
Per due dei ricorrenti si era addirittura arrivati all’arresto in flagranza (differita), ma il GIP di Catanzaro, che non aveva convalidato gli arresti, aveva già smontato la ricostruzione della Questura di Cosenza in merito al crollo del cancello d’ingresso del settore ospiti del San Vito-Marulla, con la tesi sconfessata che specificava:
“una folla di tifosi catanzaresi, quantificabile in un migliaio di unità circa, iniziava ad accalcarsi e a spintonare i componenti del cordone di controllo e sicurezza, composto da alcuni steward e da personale delle forze dell’ordine. Data l’’evidente disparità numerica e la particolare violenza di quei tifosi, il cordone di controllo e sicurezza veniva sospinto indietro, resistendo però sino a ridosso di un cancello. Non paghi, i tifosi del Catanzaro divellavano quel pesante cancello e lo ribaltavano in terra, con il rischio derivante da tale azione, che tale gesto avrebbe potuto comportare gravi conseguenze nei confronti degli appartenenti alle Forze di Polizia ivi in servizio stavano operando proprio dietro quel pesante cancello“.
… ma il cancello invece cade per la calca
Il TAR ribadisce quanto scritto a suo tempo dal GIP e fa capire che la caduta del cancello era da ascrivere alla calca creata per una sbagliata gestione dei tempi di arrivo dei tifosi giallorossi e per la ristrettezza degli spazi nella zona antistante:
“i tifosi siano stati incanalati e indirizzati presso l’apertura collocata nel campetto di calcio presente all’interno delle mura dello stadio: tale apertura, lo si vede in modo chiaro nei video ripresi, consentiva il transito di pochissime persone per volta. Tuttavia, le persone che erano state incanalate presso tali luoghi erano numerosissime (centinaia, forse un migliaio). E’ evidente che l’animosità dei momenti e la concitazione dell’occasione abbiano determinato una calca che ha, di fatto, concorso nel determinare la caduta del cancello e il suo danneggiamento“.
E che ciascuno dei ricorrenti “si sia limitato a fare ingresso nell’area antistante lo stadio, sfruttando il flusso e la pressione della folla che si incuneava nell’apertura predisposta dalle forze di sicurezza, ponendo così in essere una condotta che appare passiva agli eventi e volta, semplicemente, a fare ingresso nella struttura, così come era stato autorizzato“.
Per tutti e cinque i casi il TAR ha condannato la Questura di Cosenza al pagamento delle spese di lite sostenute dai ricorrenti.
Era cosi’ evidente per cui come in tanti altri casi giustizia è fatta .