Di chi poteva fidarsi davvero la presidentessa della Provincia di Catanzaro Wanda Ferro se non del suo Amato? Detto fatto, dovendo scegliere un nuovo direttore generale, l’ha messo per iscritto nella delibera: «Considerato che la nomina del direttore generale viene effettuata dal presidente sulla base di un rapporto prettamente fiduciario?» il nuovo dirigente supremo è Gennaro Amato. Che lei a casa chiama Rino. Direte: ma come, ha nominato il suo compagno? L’uomo con cui vive? Proprio di questi tempi in cui i cittadini faticano ad arrivare a fine mese e sono furibondi per come certi politici pensano di potersi consentire tutto come i maragià? Esatto.
Non solo: la delibera spiega, offrendo impavida la presidentessa alle ironie, che il dirigente scelto, «interpellato al riguardo, si è dichiarato disponibile a espletare la funzione di direttore generale dell’ente, mantenendo “ad interim” le funzioni di dirigente dell’Area gestione territorio e patrimonio nonché di dirigente “ad interim” dei settori afferenti l’area medesima, se non coperti da altro dirigente». Mettetevi al posto di Wanda Ferro: una bella soddisfazione, che il compagno si sia lasciato convincere a occupare tutte quelle poltrone. In genere, com’è noto, uomini di tal fatta rispondono ritraendosi e arrossendo di pudore: «No, grazie, troppo potere, grazie, non è il caso?». Macché, lei gli ha chiesto di prestarsi e lui, l’amato Amato, si presta. Capelli rossi e cuore nero, cresciuta nel mito di Giorgio Almirante esaltato dai camerati come nemico acerrimo d’«ogni forma di clientelismo», legatissima al governatore Scopelliti, la pasionaria post-missina è anche coordinatrice provinciale del Pdl impegnatissima in due battaglie. La prima è il salvataggio di tutte e cinque le Province calabresi a partire dalla sua: «Non ci sono enti utili o inutili, ci sono enti che danno risposte e servizi ai cittadini e questo vale ancora di più per le Regioni meridionali». Insomma, ha tuonato davanti ai maggiorenti del partito: «Mal sopportiamo il peso di nuove riforme che mirano all’abolizione delle Province, altro risultato negativo prodotto dal clima di caccia alle streghe dell’antipolitica». L’ha mandato a dire anche a Raffaele Bonanno: «Le sue posizioni sono frutto di un abusato qualunquismo».
Non capisce perché «pur di dare in pasto alla folla qualche briciola di risparmio sui conti dello Stato» qualcuno insista nel «delirante progetto iniziale di cancellazione delle Province», progetto che andrebbe «in una direzione assolutamente contraria alla partecipazione democratica e all’unico potere che riconosciamo, quello del popolo». Il quale come è noto è favorevolissimo a mantenerli tutti, questi fiori di virtù amministrativa? Ed è questa la seconda battaglia della presidentessa rossa nera: contro il qualunquismo, il populismo, la demagogia. Un «clima di sfiducia che genera un’antipolitica dilagante e nociva». Un clima «dal quale mi dissocio nella maniera più totale». Per questo, incita, occorre rispondere con una politica che deve «essere la sintesi delle parole e dei fatti». E cosa c’è di meglio, per combattere l’antipolitica e dimostrare ai cittadini il proprio assoluto e cristallino disinteresse, che promuovere a direttore generale il proprio amato?
Gian Antonio Stella