Allora, amore mio, siediti. Dobbiamo parlare. No, non ho fatto niente di male, non ho sperperato soldi in criptovalute, non ho dimenticato anniversari (credo). Ma ho bisogno che tu capisca una cosa: sto per perdere la testa. Non è colpa mia. È il derby!
Catanzaro-Cosenza non è una semplice partita di calcio, non è un evento sportivo qualunque che arriva e passa via. È una malattia, una condanna, un’esplosione di emozioni primordiali. È il nostro destino, scritto nei cori della curva, nelle radiocronache che riecheggiano nelle memorie dei più vecchi, nei racconti tramandati di padre in figlio.
Io non ho scelto di tifare Catanzaro. Il Catanzaro mi è entrato nel sangue. Ci sono due momenti dell’anno, in cui l’aria diventa più pesante. Si respira tensione, i discorsi iniziano a girare in tondo sempre sullo stesso argomento, gli occhi si accendono di un fuoco antico. È il momento in cui guardi il calendario e vedi quella data maledetta.
Ed ecco che arriva la settimana del derby. Da quel momento in poi, non esiste più nulla. Il lavoro, la famiglia, la vita sociale: tutto sfocato, sullo sfondo. Ogni pensiero è lì, ogni parola scivola lentamente verso l’unico argomento possibile. I giorni si allungano, il tempo sembra rallentare, ma dentro lo stomaco cresce un vortice di ansia ed euforia.
Guardo i vecchi video, rivedo i gol di Palanca, quando segnava da calcio d’angolo come se fosse la cosa più naturale del mondo. Penso a quando il Catanzaro era in Serie A, a quando facevamo paura anche alle grandi del nord. Ricordo i racconti di chi ha visto quelle sfide epiche, di chi ancora oggi parla di partite di quaranta/cinquanta anni fa con lo stesso fervore di chi le ha vissute ieri.
Il derby è così: non finisce mai. E poi, all’improvviso, eccolo lì. Ti svegli con il cuore accelerato, l’appetito non esiste, la giornata è una lunga attesa che divora i nervi. Le ore prima del calcio d’inizio sono un limbo insopportabile, un vortice di emozioni contrastanti.
Quando l’arbitro fischia l’inizio, il mondo si ferma.
Novanta minuti che non sono solo novanta minuti. Sono un duello medievale, un atto di guerra, un colpo al cuore ad ogni passaggio sbagliato, una vertigine ad ogni azione pericolosa.
E allora, cara moglie, caro marito, ti prego: non dirmi che è solo una partita. Perché il derby non è mai solo una partita.
È il Catanzaro. È la nostra Storia. È qualcosa che nessuno che non ha le Aquile nel cuore potrà mai capire.
Harp
Ottima disamina! Sangu all’occhi!!!