Mi risveglio una calda mattina di primavera e mi accorgo di aver dormito per tanto, troppo tempo. I colori illuminano la vista e gli odori inebriano l’olfatto, sento nuovamente nell’aria quella strana sensazione. Come se avessi ritrovato qualcosa che avevo smesso di cercare. La distanza, la noia, l’abbandonarsi tra le braccia mortali di un calcio finto hanno avuto per troppo tempo il sopravvento. Quotidianità e routine scandiscono lentamente i passi verso l’appiattimento dei sentimenti, ma quando ricominci a chiederti come ti sei potuto ridurre in questo stato, quello, diventa il primo passo per riprendersi ciò che da sempre ti appartiene.
È così che una strana domenica pomeriggio, in attesa di capire, in attesa di non so bene cosa, ti accorgi che a quasi mille chilometri da te, c’è una partita di calcio. Non una partita attesa, non una partita da stelle e lustrini, solo semplicemente una partita di calcio. E sugli spalti l’affetto sincero, reciproco, di due tifoserie che da anni si rispettano e si apprezzano aldilà di ogni risultato. Non ci sono promozioni o play-off che tengano: quando Barletta e Catanzaro si incontrano è sempre una festa, prima, durante e soprattutto dopo la gara. Il coro “Catanzaro Sotto la Curva”, intonato dai fratelli Barlettani non sarà mai e poi mai pubblicizzato in tv come le risse fuori e dentro gli stadi, o le cariche ed i lacrimogeni della Polizia.
Ma per chi il calcio lo ama davvero è qualcosa che travalica lo stereotipo a cui le tv ci hanno abituato. Il coro “Catanzaro e Barletta olè” riaccende in me quella fiamma che sembrava oramai spenta, abituato al calcio povero dei nostri concittadini factotum, la nuova linfa Cosentino mi ha inebriato, ma oggi mi rendo conto di non aver dato il giusto peso al Presidente che tra l’altro ha avuto il merito di mostrarmi, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, di che pasta sono fatti i miei concittadini. Ho gioito all’atto della promozione, due anni or sono, mi sono illuso che la mia squadra potesse fare un sol boccone del campionato la scorsa stagione. E poi? E poi non ricordo più nulla. Uno stato catatonico, un letargo una catalessi, qualche partita dal vivo, qualche partita in tv, ma l’apatia regnava sovrana.
Mi risveglio una calda mattina di primavera e mi accorgo di aver dormito per tanto, troppo tempo. I colori, sempre quelli, il giallo ed il rosso, fanno luccicare il mio sguardo, l’odore del manto verde di un giardino appena rasato, mi ricordano il “Ceravolo” quando la domenica mattina prima di ogni gara mio padre mi ci portava quasi come fosse un campo di battaglia prima dello scontro. E rivivo i miei ricordi di una spensierata gioventù, scanditi dai cori della mia coloratissima curva. I boati ai goal di Palanca o di Bivi, ma anche i lunghi silenzi di 20.000 persone assiepate per una gara play-off che mai, mai avremmo vinto.
È troppo facile svegliarsi oggi a 51 punti, con i play-off in tasca e, dall’alto di chi non ha fatto nulla per conquistarli, prendersi la libertà di dare giudizi di ogni sorta e genere. È troppo facile oggi svegliarsi e dire che 15 pareggi sono troppi in un campionato che poteva e doveva essere vinto, da chi finora ha dormito per tanto e tanto tempo. Mi risveglio e voglio salire sul carro dei vincitori, mi risveglio e pretendo che 15 pareggi dovevano essere, conti alla mano, almeno 8 vittorie, 16 punti in più e quindi promozione diretta ad un passo.
Mi risveglio, mi guardo intorno e vedo che da due anni il settore distinti sembra poco più di una baraccopoli ed i miei concittadini inorridiscono per il quinto posto in classifica, 51 punti conquistati sul campo, conquista matematica dei play-off, 17 reti subite in 30 gare giocate con avversari del calibro di Perugia-Frosinone-Lecce-Benevento-Salernitana-Pisa-Ascoli.
Mi risveglio e penso che non ho il diritto di giudicare, ma solo il dovere morale di incitare la mia squadra, dal primo all’ultimo, di sostenere la società e di maledire coloro che volevano, vogliono e vorranno sempre tenere Catanzaro ed il Catanzaro ai margini di ciò che davvero conta.
Mi risveglio ed ho ancora le lacrime agli occhi per il ricordo del nostro amico Carlo, eroe vero di un calcio finto che vive nei nostri cuori, nel ricordo di una manifestazione, ma anche nel semplice pensiero di una strana domenica di primavera, di chi ha avuto la fortuna di risvegliarsi.
Massimo Saverino