«Perché il Catanzaro è una malattia contagiosa, si annusa da lontano, unisce i popoli e parla la stessa lingua». È questo uno dei passaggi più significativi di una lettera che Simone ha inviato ieri alla redazione di UsCatanzaro.net, a nome di un gruppo di amici, professionisti, emigrati di prima e seconda generazione residenti a Milano. Domenica erano tutti a Pontedera con Spinzo, uno del gruppo, che ha scelto di festeggiare in modo originale il suo 40° compleanno. Potete leggere il testo integrale della lettera sulla nostra pagina Facebook.
I ragazzi non sono frequentatori abituali degli stadi di terza serie. Non è facile, del resto, in questo periodo. Andare in trasferta è un’impresa complicata, quasi eroica, se non hai un’inutile tesserina magnetica su cui è stampata una tua foto. Grazie al buonsenso di chi controllava l’ordine pubblico in Toscana, il gruppo milanese ha aggirato i vari divieti imposti da chi non capisce niente di stadi, trasferte, tifo. Ed è riuscito a coronare il sogno di Spinzo.
Il Catanzaro come regalo di compleanno. Il Catanzaro come momento di aggregazione di una comunità sparsa in giro per il mondo. Il Catanzaro come melting pot di esperienze, lingue e culture diverse, accomunate da una passione per 11 ragazzi in maglia giallorossa che corrono dietro a una palla di cuoio. Ne abbiamo parlato tante volte, non è il primo caso né sarà l’ultimo. E noi continueremo a raccontarlo. Con orgoglio.
E cercheremo di spiegare al presidente Cosentino che questa è la vera forza del suo “giocattolo”, preso in mano due anni e mezzo fa in tribunale con un piede e mezzo nella fossa del dilettantismo ed arrivato, dopo meno di tre campionati, alle porte della serie B. Quelle porte che tutti noi vorremmo vedere spalancarsi di nuovo, dopo l’illusoria e fallimentare esperienza del 2004. Diciamocelo chiaramente: al di là degli almanacchi, che notoriamente non hanno sentimenti, il Catanzaro ha salutato definitivamente la serie B nel 1990.
In questo quarto di secolo abbiamo perso una generazione di giallorossi che hanno preso strade e fedi diverse da quelle del “Ceravolo”. Un salto generazionale che ci porta a raccontare storie di quarantenni legati al Catanzaro, in attesa che ci si possa riappassionare a qualsiasi età. Per far sì che questo accada, caro presidente Cosentino, è necessaria la serie B. Il calcio dei campi di periferia, dei paesi improbabili e delle strutture fatiscenti non può più appassionare un bambino che in televisione vede i lustrini della Champions League, i tatuaggi e le creste dei campioni. Forse qualcuno storcerà il muso, ma è un’evidenza, purtroppo.
La riforma della Lega Pro incombe. La B ci eviterebbe il ritorno in stadi che speravamo di aver dimenticato grazie all’avvento di questa società. La B darebbe un impulso decisivo alla vergognosa vicenda dello stadio, ancora ridotto a un cumulo di container in cui rinchiudere le promesse della peggiore classe dirigente politica d’Europa. La B regalerebbe ai tifosi giallorossi sparsi nel centro-nord la possibilità di seguire la squadra, trasformando ogni domenica in una festa popolare. Proprio come una volta. La B porterebbe anche nuova linfa economica alla società giallorossa, aprendo prospettive di crescita che fino a tre anni fa sembravano un’utopia.
E invece siamo qui, al quarto posto, in coabitazione con Pisa e L’Aquila, a un sospiro dal nobile Lecce, che era partito con tutti i favori del pronostico e con una rosa stellare e strapagata. A sette giornate dalla fine del campionato, siamo qui in ballo per uno dei due posti che porteranno in serie B. Il basso profilo scelto dalla società, dopo le chiacchiere cariatesi dello scorso anno, ha pagato. Le comunicazioni verso l’esterno si sono ridotte al minimo indispensabile (forse troppo), dopo qualche evitabile scivolone mediatico.
Il Catanzaro continua ad essere ignorato dalla tv e snobbato da tutti gli osservatori, impegnati a pronosticare chi vincerà il campionato tra Frosinone, Perugia e Lecce. Per la prima volta non arriverà ai play-off col ruolo di vittima designata, né in veste di favorito. E soprattutto ci arriverà con una proprietà vera e con una società che, tra tanti errori d’inesperienza, ha comunque una invidiabile solidità. Comunque la pensino i professionisti catanzaresi dello sfascio.
Intanto il gruppo di ferro plasmato da Oscar Brevi continua a raggranellare punti su punti. Tra tanto scetticismo, le difficoltà offensive (nelle ultime 10 partite un solo gol su azione degli attaccanti, Madonia ad Ascoli), un gioco non certo spettacolare e qualche infortunio, i ragazzi giallorossi procedono con grande continuità, con tre sole sconfitte incassate e una difesa bunker. Bindi non subisce gol da 560 minuti. La soluzione Vitiello al centro della difesa sembra convincente. Le tre grandi del campionato sono state tutte battute una volta. Vacca e Madonia crescono, Morosini sta recuperando la forma migliore e presto anche Di Chiara tornerà arruolabile.
Una squadra costruita sulle macerie lasciate da Cozza è oggi in piena zona play-off, con la possibilità di giocarsela contro tutti. E con evidenti margini di miglioramento. Dieci anni fa di questi tempi, alla fine della 27° giornata e con una partita da recuperare, il Catanzaro di Braglia era quarto in classifica dietro all’Acireale, alla Viterbese e alla capolista Crotone, distante 6 punti. Oggi è impensabile che il Catanzaro possa raggiungere il primo posto. Ma questo è il momento in cui la città può e deve rispondere presente. Al di là dei tempi diversi, al di là di un campionato sfasciato da un regolamento folle, al di là della relativa importanza di una posizione nella griglia play-off.
Affollare gli spalti del “Ceravolo”, tornare a essere il dodicesimo uomo in campo, spingere questi ragazzi che stanno gettando il cuore oltre i limiti tecnici, battendosi ogni domenica con tutte le loro forze contro squadre dal budget differente. Proprio come il Catanzaro di tanti campionati di serie A e B del passato. Un Catanzaro brutto, sporco e cattivo. Ma giallorosso. Un Catanzaro che dobbiamo tornare ad amare. Lasciamoci contagiare. Come Spinzo e i suoi amici.
Ivan Pugliese