In occasione del 23° turno di Serie B, la Lega ha deciso di dedicare le partite alla Giornata della Memoria, al fine di onorare le vittime dell’Olocausto e di sensibilizzare il pubblico su quanto accaduto. L’iniziativa ha coinvolto squadre, società e tifosi, che attraverso vari gesti e iniziative ricordano come sia fondamentale non dimenticare gli orrori del passato e coltivare il valore della memoria collettiva.
Questo contesto ci fa riflettere su figure storiche dello sport che, direttamente o indirettamente, si sono trovate coinvolte nel genocidio e nella pianificazione dello sterminio ad opera del regime nazista e dei suoi alleati fascisti, pagando spesso con la propria vita. Una di queste è l’allenatore ungherese Géza Kertész, a cui è dedicato il nostro pensiero.
L’uomo e il contesto storico
Géza Kertész nacque in Ungheria agli inizi del ‘900. In gioventù fu calciatore, ma è ricordato soprattutto per la sua carriera da allenatore, che lo portò in diversi club europei. Si trovò a vivere in un periodo funestato dalle guerre mondiali e dall’ascesa dei regimi nazi-fascisti, che influenzarono pesantemente la vita civile e sportiva.
L’esperienza italiana
Dopo alcuni successi in patria, Kertész giunse in Italia dove allenò varie squadre, tra cui il Catanzaro (all’epoca denominato Unione Sportiva Fascista Catanzarese, successivamente Unione Sportiva Catanzaro) durante gli anni ‘30. Nel 1932-1933, dopo gli spareggi con il Siracusa a Napoli, e con il Perugia, vincitore dell’altro girone, la Catanzarese vinse il campionato di prima divisione ottenendo per la prima volta nella sua storia la promozione in Serie B, prima squadra della Calabria a raggiungere l’ambito traguardo. Il suo stile di allenamento era innovativo: puntava sulla disciplina e su una mentalità pionieristica per quei tempi. Introdusse metodi di preparazione fisica e di gioco che influenzarono la crescita calcistica di molti atleti.
Il legame con Catanzaro
A Catanzaro trovò un ambiente caloroso e un rapporto di grande stima con i tifosi e i dirigenti dell’epoca. Nonostante le difficoltà connesse al periodo storico (le leggi razziali fasciste stavano iniziando a colpire anche gli stranieri, in particolare se di origine ebraica o considerati “non graditi” dal regime), Kertész seppe lasciare un segno indelebile nella città e nella società sportiva, contribuendo a creare un forte senso di identità calcistica.
Il sacrificio e la memoria
Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Kertész fece ritorno in Ungheria, trovandosi poi coinvolto in prima persona nella tragedia dell’occupazione nazista e nelle conseguenze delle leggi razziali contro gli ebrei. Da alcune fonti risulta che aiutò diverse persone a sfuggire alle persecuzioni. Questa sua attività di resistenza, però, lo espose a gravi rischi e lo portò infine a essere arrestato dalle autorità collaborazioniste ungheresi. Morì in circostanze drammatiche, diventando un simbolo di coraggio e di generosità. Per Catanzaro, resta un esempio di come il calcio possa unire valori sportivi e umani, resistendo persino in periodi storici bui.
L’eredità sportiva e umana
Vogliamo con questo articolo, a distanza di decenni, tenere viva la memoria di Kertész tra i tifosi del Catanzaro. Ribadire il messaggio che lo sport non è mai qualcosa di avulso dal contesto storico, ma anzi diventa un canale per trasmettere valori di solidarietà, resilienza e impegno sociale. Collegare la figura di Géza Kertész alla Giornata della Memoria e all’iniziativa della Lega Serie B ci ricorda che il calcio – come qualunque altro sport – può e deve farsi portatore di messaggi profondi. Il passato tragico di Kertész, la sua morte legata alle persecuzioni e il suo coraggio nell’aiutare chi era in pericolo sono una testimonianza di come si possa essere in prima linea a difendere la dignità umana.
In occasione del 23° turno dedicato alla Memoria, la storia di Géza Kertész dovrebbe essere un esempio ulteriore per ribadire un concetto tanto semplice quanto importante: non dimenticare. Ricordare figure come la sua diventa un modo per rendere viva la memoria di ciò che fu, un atto di riconoscenza a chi ha pagato con la propria vita e un monito a impegnarci tutti, ogni giorno, contro ogni forma di discriminazione.
Il nostro articolo dello scorso anno
Redazione 24
Foto web