Da circa un anno c’è chi sta cercando di togliere il Catanzaro dalle mani di Giuseppe Cosentino. Una delegazione di politici catanzaresi ha programmato in questi mesi incontri riservati lungo tutta la regione per trovare qualcuno disposto a prendere il posto di Mister Gicos. Ci sono stati pranzi e cene finite tutte, a un certo punto, con la stessa domanda: ti interessa il Catanzaro calcio? Tra gli ultimi, queste precise parole sono state rivolte a Pippo Caffo, attuale presidente della Vibonese retrocessa in Eccellenza. E il re dell’amaro ha gentilmente risposto picche.
Lo stadio Ceravolo è monco, impresentabile con quei suoi container, eppure la Catanzaro politica sembra avere un obiettivo diverso da raggiungere, adesso, un’altra priorità assoluta: allontanare Cosentino dalla città. E alla svelta.
La causa di questi movimenti sottobanco non è certo l’insofferenza manifestata nelle ultime settimane dal presidente. Le manovre sono iniziate decisamente prima. Forse c’è invece anche questa storia alla base degli sfoghi sempre più frequenti di Mr Gicos. L’attuale presidente dell’Uesse si sente abbandonato, tradito, accerchiato. Ma cosa sta succedendo intorno al Catanzaro? Per noi che raccontiamo le vicende giallorosse da qualche tempo, né più né meno di quanto non sia successo negli ultimi decenni.
L’analisi sociologica è presto fatta, quasi banale per quanto è semplice. In una comunità depressa economicamente oltre ogni limite, priva di punti di riferimento condivisi, con un’etica collettiva messa continuamente alla prova dal bisogno e un’idea di comunità dimenticata chissà dove, sono i piccoli e spesso piccolissimi interessi a far girare la ruota degli eventi più importanti. Personaggi che altrove faticherebbero a ottenere rispetto in casa propria, a Catanzaro prosperano assumendo il comando di minuscoli ma agguerritissimi eserciti. Così tutta questa faccenda – come in una Dallas stracciona – in fondo riguarda soltanto loro. I loro soldi, il loro potere.
Ma facciamo un passo indietro, necessario a questo punto del racconto. Nel nostro capoluogo, Giuseppe Cosentino – attratto da un’esperienza in quel mondo del calcio solo sfiorato con la sponsorizzazione alla Reggina di Foti – arriva grazie alla politica in cerca di una soluzione ai problemi della squadra cittadina.
A Cinquefrondi i catanzaresi si recano disperati in processione per due anni di fila. La prima senza successo, la seconda centrando l’obiettivo. Mister Gicos si appropria del Catanzaro grazie in particolare a tre uomini forti della politica di allora: Michele Traversa, Peppe Scopelliti e Mimmo Tallini. Dei tre, solo Tallini è ancora saldo e forte al suo posto. L’ex sindaco dopo le dimissioni sta infatti godendosi la pensione da parlamentare, e Scopelliti, alle prese peraltro con diverse grane giudiziarie, ha appena visto interrompersi la sua corsa a un seggio europeo.
Quando Cosentino accetta la sfida, il Catanzaro in pratica non esiste. Tutti sanno che dovrà ricostruire ogni cosa da zero. Anzi da sotto zero, perché si ritrova in eredità i contratti pesanti di alcuni calciatori che non avrebbero giocato mai neanche tra i dilettanti.
Considerata la particolare situazione e i tempi strettissimi, a Mr. Gicos viene garantito il sostegno di due componenti: istituzioni pubbliche e imprenditoria privata. Traversa si attiva con un folto club di operatori economici cittadini per sponsorizzare l’Uesse con cinquecentomila euro ogni anno (sempre per un triennio). C’è perfino un documento d’intesa firmato e i nomi dei sottoscrittori sono ancora tutti in Rete (Noto, Colosimo, Speziali, Parente, Albano, Gatto, Abramo).
Solo Colosimo, titolare di Igea Calabra, rispetta l’impegno dei tre anni. E Gianni Abramo, addirittura, triplica la somma promessa all’atto dell’accordo davanti al sindaco. Tutti gli altri contribuiscono in maniera parziale o addirittura si tirano indietro. In televisione, durante una trasmissione di TelespazioTV, Cosentino attacca frontalmente Speziali: .
Già a quel punto però, è chiaro che qualcosa stia per rompersi. Catanzaro è una città gattopardesca, qualunque cosa succeda gli equilibri non cambiano. Cosentino non è un diplomatico e degli equilibri se ne infischia. I fili diretti che negli anni hanno legato il Catanzaro all’esterno (club, politica locale, stampa) vengono quasi tutti recisi. E ciò crea scompiglio. “Chi te la fa fare di restare qui?“, gli dicono gli imprenditori cittadini, anche quelli più vicini. “Che ci fai ancora a Catanzaro?” gli ripetono ad ogni buona occasione.
L’unico potenziale affare immediato legato al Catanzaro, quello riconducibile ai lavori per il nuovo stadio, per Cosentino diventa presto off limits.
Da un certo punto in poi, solo i risultati possono salvarlo, solo la B. Che puntualmente però non arriva. Intendiamoci, non arriva per i limiti tecnici della squadra costruita e per tutta una serie di ragioni tipiche del calcio giocato. E infatti al tifoso giallorosso, il muro contro muro di questi giorni sembra del tutto inverosimile. Il tifoso sugli spalti ha applaudito la squadra nonostante una pessima prova finale. Ha lenito la propria angoscia pensando alla solidità del suo Catanzaro. E allora perché tanto rumore? Perché un clima tanto pesante da immaginare perfino di non iscrivere la squadra al prossimo campionato?
Nella conferenza stampa decisamente atipica di qualche giorno fa, il “remare tutti insieme” acquisisce senso solo se lo si interpreta come l’invito a prendere coscienza di questa realtà sotterranea. Che ora viene fuori chiarissima. Stanno facendo terra bruciata intorno a Cosentino. Molti sponsor hanno già fatto sapere di voler ritirare il proprio sostegno per il prossimo anno. Quasi tutti quelli di un certo peso da giugno abbandoneranno il Catanzaro. E non si tratta di crisi, perché spesso quegli stessi sponsor finiscono per sostenere realtà vicine ma “altre”, come Vigor Lamezia e Crotone. Eclatante poi il caso della Camera di Commercio di Catanzaro che ha sponsorizzato la Vigor dell’ex Ferrara e non i giallorossi.
Cosentino si sente vittima di un sistema intero e alla notizia che il prossimo 12 luglio lo stadio ospiterà un ricevimento con più di mille invitati (si sposa il capo ultras Andrea Amendola) trasale. Nessuno lo aveva neanche avvisato. “Io pago migliaia di euro per la manutenzione e la gestione del Ceravolo. Tra l’altro dobbiamo seminare adesso il prato per essere pronti per la Coppa Italia del prossimo agosto e il campionato che verrà. E loro organizzano una festa senza dirmi niente? Una festa in quello che dovrebbe essere un cantiere? In ogni caso sono io ad avere le chiavi dello stadio“.
Ecco il clima che spiega i silenzi e gli sfoghi di Cosentino. Nonostante le rassicurazioni dell’assessore Sgromo, le istituzioni appaiono al presidente più lontane che mai. Se gli si spiega che il calcio comporta investimenti ad alto rischio, che non si può pretendere nulla dagli altri, Cosentino ribatte spiegando di aver investito svariati milioni di euro in tre anni. Racconta di aver conquistato la Prima divisione, poi di aver mantenuto la categoria e di aver provato ad arrivare in B tramite i playoff. Parla di un Giovino messo a nuovo a sue spese e di un settore giovanile completamente ricostruito. “Chi a Catanzaro è riuscito a fare tanto, negli ultimi anni, senza poi fallire? Io chiedo solo che tutti facciano la loro parte. E che rispettino gli impegni, se ne hanno presi. Esattamente come avverrebbe in ogni realtà – spiega – chiedo che le cifre dei preventivi di qualsiasi cosa non raddoppino solo perché di mezzo c’è il nome del Catanzaro e di Cosentino. Chiedo che i tifosi continuino a sostenerci comprando dalla società il biglietto e gli abbonamenti. Perché solo i tifosi ci sono rimasti. Quelli veri“.
Cercando i motivi della tensione di Cosentino, ci siamo imbattuti nell’ennesima puntata della storia di Catanzaro. I protagonisti non sono rimasti tutti quelli del passato, soltanto alcuni. Il canovaccio è invece identico da decenni. C’è una Catanzaro -la fetta più grossa- che assiste agli eventi sperando sia la volta buona, di qualsiasi cosa si tratti. E ce n’è un’altra che muove i fili, dispone le truppe, stabilisce gli obiettivi. Sono pochi ma tremendamente agguerriti. Forse troppo, per la gente onesta.