di Francesca Chirico – www.ildomanionline.it
MONTEPAONE LIDO – L’ultimo pezzo della scena ad essere sottratto agli sguardi è stata la vecchia Fiat Punto con cui nella notte, dopo aver salutato gli amici, aveva raggiunto Calalunga di Montauro. Poi sulla spiaggia, a pochi passi dal torrente Franco e dalle barche dei pescatori che hanno dato l’allarme, non è rimasta più alcuna traccia dei 36 anni di Giovanni Raspa e, soprattutto, della sua scelta di chiuderli con un colpo di pistola alla testa. Elementi per supporre che sulla sabbia di Calalonga, di fronte a un mare che ancora ieri attirava bagnanti, sia accaduto qualcosa di diverso, in effetti, i carabinieri non ne hanno raccolto e sebbene non si spingano già a parlare di caso chiuso, hanno indicato ieri mattina nel suicidio “l’ipotesi più accreditata”, aspettando di fatto il suggello dei prossimi rilievi per chiudere la porta anche al più piccolo dubbio. C’è qualcosa, però, che il prossimo esame autoptico sul corpo di Giovanni Raspa e i rilievi sulla pistola calibro 9 per 21 trovata ai suoi piedi non potranno dire. Qualcosa che bisognerà cercare nelle confidenze di amici e parenti, nella ricostruzione degli ultimi giorni di vita di un ragazzo che poche ore prima di appoggiarsi la canna della pistola contro la tempia ha cenato e scherzato con amici e conoscenti in un ristorante di Montepaone Lido, apparentemente sereno, soprattutto orgoglioso di poter raccontare del servizio d’ordine garantito ai funerali di Luciano Pavarotti, in quella città di Modena dove lo aveva portato il lavoro di guardia giurata per un istituto di vigilanza (“La Patria”) della zona. Domicilio e lavoro in Emilia-Romagna, residenza e famiglia a Montepaone Lido dove Raspa era tornato da una decina di giorni per un periodo di riposo, per rivedere gli amici e, soprattutto, per riabbracciare l’anziana madre rimasta vedova da pochi mesi. Tutto normale, tutto apparentemente senza ombra, esattamente come la sua fedina penale immacolata e le sue frequentazioni lontane da ambienti discutibili. E allora resta da capire perché alle 7 di ieri mattina, tra le villette e i lidi ormai chiusi di Calalunga di Montauro, due pescatori che si stavano dirigendo verso le proprie barche lo abbiano scoperto disteso sul fianco, riverso in una pozza di sangue, a pochi passi dalla sua Fiat Punto verde con la fiancata destra ammaccata, con la pistola d’ordinanza ai suoi piedi e un proiettile calibro 9 in testa. I medici del 118, chiamati immediatamente in zona, non hanno potuto che cedere subito la scena al medico legale dell’ospedale “Pugliese-Ciaccio”, Emilio D’Oro e ai carabinieri della compagnia di Soverato intervenuti al comando del capitano Giorgio Broccone. Ai militari dell’Arma, coordinati dal sostituto procuratore di Catanzaro, Luigi De Magistris, il compito di mettere insieme tutti i tasselli, raccogliendo le testimonianze degli amici che avevano cenato con lui la sera prima, verificando le ultime telefonate ricevute ed effettuate e scavando in una vita privata apparentemente senza scossoni. Fino allo sparo nella notte, davanti al mare di casa.