Nessuna assoluzione, tutti condannati. E’ questa la sentenza per le cosche lametine e per i 36 imputati del processo scaturito dall’operazione denominata “Medusa” eseguita a Giugno del 2012, sotto le direttive della Dda di Catanzaro, da Guardia di finanza, polizia e carabinieri. Il processo ha riguardato soprattutto la cosiddetta “cosca Giampà” di Lamezia Terme della affiliata alla ndrangheta. La sentenza è stata emessa, a conclusione del dibattimento con rito abbreviato, dal gup distrettuale di Catanzaro, Giovanna Mastroianni. Per tutti gli imputati l’accusa, a vario titolo, era di associazione mafiosa, estorsione, usura, danneggiamento, detenzione abusiva di armi e favoreggiamento.
La condanna più alta (13 anni e otto mesi) è stata inflitta a Aldo Notarianni, uno degli esponenti di punta della cosca. Il capo del gruppo criminale, Francesco Giampà, detto «il professore», è stato condannato a 12 anni. Per il figlio di Giampà, Giuseppe, collaboratore di giustizia, è stata disposta la condanna a sei anni e otto mesi. Nel processo era imputata anche la moglie di Francesco Giampà, Pasqualina Bonaddio, condannata a cinque anni. Gli altri imputati sono stati condannati a pene varianti tra i dieci anni ed un anno e otto mesi di reclusione. Sei anni, la pena inflitta all’appuntato dei carabinieri Roberto Gidari accusato di aver svelato i segreti delle indagini ai boss.
Il gup ha anche disposto il risarcimento dei danni alle parti civili tra cui figurava il Comune di Lamezia Terme, l’Associazione antiracket lametina, la Federazione nazionale delle associazioni antiracket e antiusura ed alcuni imprenditori vittime delle estorsioni.
Il quotidiano