Il 10 febbraio 2007 è una data che ai più potrebbe passare inosservata. In realtà saranno 60 anni dalla firma imposta all’Italia nel trattato di Parigi, dove è opportuno sottolineare che di imposizione e non di altro si trattò e che quel diktat segnò in maniera drammatica le sorti del confine orientale italiano, rimasto teatro di terrore anche dopo la fine della guerra. Infatti, mentre in altri luoghi d’Italia si celebrava la liberazione, a Trieste iniziava un nuovo incubo: le truppe jugoslave del maresciallo comunista Tito invasero la città torturando, uccidendo e deportando migliaia di cittadini innocenti. Sono gli anni drammatici – cancellati dai testi scolastici – in cui decine di migliaia di persone vennero gettate dentro le “foibe”, voragini naturali del Carso, o portate nei campi di concentramento titini: una vera e propria “pulizia etnica” anticipatrice di successive e a noi più recenti “pulizie” che segneranno la dissoluzione della Jugoslavia. Quasi 400.000 abitanti dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia dovettero scappare ed abbandonare la loro terra, le case, le proprie attività, i propri morti, pur di continuare ad essere Italiani.
Negli anni seguenti la diplomazia internazionale inventò una sorta di stato-cuscinetto, il Territorio Libero di Trieste, che di fatto feriva nel profondo la coscienza nazionale italiana (come ebbe a dire De Gasperi). Il trattato di Parigi del ’47 diede una scandalosa legittimazione all’occupazione militare di Tito per cui, così com’era già avvenuto per i fratelli di Zara, Fiume e Pola, anche gli italiani di Pirano, Capodistria, Isola, Buie, Umago e Ciffanova si trasformarono in esuli. E’ innegabile dunque che quel trattato premiò il criminale operato dei comunisti di Tito che, con le “foibe”, gli eccidi, il terrore di massa, cancellarono l’italianità di quel territorio. Anche gli alleati, decidendo di non intervenire, ebbero gravi colpe: l’occupazione jugoslava di Trieste risultava ad essi provvidenziale per creare quell’inimicizia tra Italia e Russia, e quindi come antidoto ad una bolscevizzazione del nostro paese. E così mentre le diplomazie elaboravano le proprie strategie, centinaia di migliaia di italiani morivano e scappavano.
Solo nell’ottobre del 1954 l’Italia prese il pieno controllo di Trieste, lasciando l’Istria all’amministrazione jugoslava. E solo nel 1975 – con l’arrendevole trattato di Osimo – l’Italia rinunciò definitivamente e senza alcuna contropartita ad ogni pretesa sull’Istria, terra italiana sin da quando era provincia dell’Impero Romano. Nel 1992 la Jugoslavia giunse al disfacimento lasciando il posto ai nuovi stati, fra cui Slovenia e Croazia che vennero riconosciuti dai paesi europei ed anche dall’Italia: ciò fu un implicito riconoscimento dei confini orientali e rappresentò l’accettazione italiana dei nuovi confini sloveni. Le uniche rivendicazioni poste dai nostri negoziatori furono la tutela della minoranza italiana e la restituzione delle case: su questi due elementi l’Unione Europea ha posto per anni il veto a Lubiana per l’entrata della Slovenia in Europa, poi avvenuta nel 2004. Peccato che nel 1996 l’allora governo Prodi, nella persona del suo ministro degli Esteri Fassino, fece un madornale errore e cancellò quel veto.
Come si vede una vicenda nata male nel terrore e nel sangue delle “foibe”, proseguita con vergognosi compromessi lesivi degli interessi nazionali, e terminata pochi anni fa con la fallimentare politica estera italiana sul confine orientale. Oggi non abbiamo più nulla da dire, purtroppo, perché siamo fuori tempo massimo e ogni azione si sarebbe dovuta intraprendere nei tempi debiti. Ma se non abbiamo più niente da dire, ciò non ci autorizza a dimenticare. Il 10 febbraio 2007 saranno esattamente 60 anni dalla firma di un trattato che inaugurò una lunga stagione fatta di pagliacciate diplomatiche. Il 10 febbraio è il giorno che l’Italia dedica alla memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle “foibe” e dell’esodo dalle loro terre degli Istriani, Fiumani e Dalmati. Per quel giorno si terrà una messa in suffragio presso la parrocchia di San Giovanni alle ore 12.00. E’ doveroso per lo meno pregare e mantenere viva la memoria: il nostro movimento lo fa proponendo all’amministrazione comunale l’intitolazione di una Piazza o di una Via nella città capoluogo di regione, con una targa che ricordi la tragedia. Almeno questo.
Movimento Civico “CATANZARO NEL CUORE”