Un’orda di famelici meridionali è già con la mente a quei lidi impareggiabili che, per pochi giorni all’anno, diventano un sicuro rifugio dal resto del mondo. Come Cristoforo Colombo, baciano il suolo non prima di aver salutato con un fragoroso applauso il tanto sospirato atterraggio. Per chi vive fuori, con la mente e i ricordi saldamente legati alla terra natia, non è insolito camminare con il biglietto in mano nei giorni precedenti le feste. Eu scindu… e tu?
Le hostess delle compagnie low cost non l’hanno ancora capito perchè a Lamezia ci si spella le mani per l’applauso. E fanno una gran fatica a contenere l’entusiasmo dei passeggeri che… signorì quantu ci vò ma apriti sta porta? La spiegazione sta nel senso di appartenenza, in quel legame indissolubile con la propria gente. D’altronde non si è mai visto qualcuno perdere il dialetto e i goffi tentativi di camuffarlo servono solo a evitare le prese in giro in ufficio per quelle vocali cosi aspirate.
Cosi, durante le feste comandate, le città del sud si popolano di voci e colori, abiti alla moda e battute scherzose. Sono tornati gli emigranti, portano qualche soldino e un pò di vivacità. Si fa tardi la sera e si riempiono i ristoranti. Si salutano i parenti, si fa un salto a mare e uno in montagna, si passeggia per le vie del centro, si va allo stadio. Non c’è un solo minuto da perdere, le ferie sono sempre risicate all’osso e il giorno della partenza l’aeroporto sembra una tappa della via crucis. Un agghiacciante silenzio, di volti rigati dalle lacrime, viene spezzato dalla voce gracchiante dello speaker che invita i signori Brambilla e Fumagalli a imbarcarsi con la massima urgenza. Figghiu meu non partire, non ci puoi dire ca perdisti l’aeroplano?
Catanzaro non è più un’isola felice. L’assenza di criminalità e un moderato benessere uniti alle fortune sportive davano ai cittadini qualcosa di cui andar fieri. La nostra era una città fortunata, ma sfortunatamente riconosciamo la nostra fortuna solo quando l’abbiamo persa. Ieri stavamo meglio di oggi, eppure siamo dovuti arrivare ad oggi per capirlo (patto criminale). Ed evidentemente non possiamo accettare che il principale luogo di incontro della cittadinanza si sia spostato in un centro commerciale. Non possiamo accettare che la nostra squadra di calcio abbia lo stesso valore di quella dell’oratorio. Non possiamo accettare che le grandi opere e le infrastrutture, ogni giorno più urgenti, siano sempre in coda al resto di niente. Cosi si sta lentamente spegnendo l’eco di quella gioia di vivere in un territorio che in altre occasioni avrebbe assegnato a Gaglione una maglia da nazionale… perchè in fondo a noi di avere un Maicon in giallorosso non ce n’è mai fregato niente. Nun ce ne fotte do re burbone, a terra è a nostra e non sa de tuccà.
Davide Greco