«Questa squadra in campo dovrà dare sempre qualcosa in più dell’avversario, altrimenti saranno dolori».
In queste parole, pronunciate in una delle tante conferenze stampa di mister Erra, c’è tutto il Catanzaro edizione 2015/2016.
Una squadra costruita male, corretta in corsa dal tecnico grazie ad un cambio radicale del modulo tattico e soprattutto con una dote ben riconoscibile, l’impegno profuso partita dopo partita, anteponendo il cuore all’ostacolo, che in gergo calcistico significa sudare la maglia fino al novantesimo e oltre.
Questa squadra, anche con l’ex mister D’Urso, abbonato alle sconfitte, il più delle volte usciva tra gli applausi perché si percepiva che sul campo aveva dato ciò che era nelle sue possibilità.
Tornando alla dichiarazione precedente, la partita di Martina Franca dice che ai limiti tecnici marcati e riconosciuti da tutti, si è aggiunta la mancanza d’impegno.
L’approccio sbagliato e lo scarso agonismo visti ieri sono innegabili e rappresentano lo smacco più grande non solo nei confronti di chi ha macinato chilometri per seguire la squadra, quanto di chi vive il Catanzaro sette giorni su sette.
In una situazione normale le tre sberle di ieri potrebbero definirsi un incidente di percorso, una cosa che capita anche alle squadre più forti, ma non lo è per questo Catanzaro.
C’è una società assente, una dirigenza che nei mesi estivi ha commesso errori su errori, dalla scelta del tecnico alla costruzione della squadra, ha continuato ad allargare la piaga nel mercato di riparazione, mortificando e deprimendo chi ancora segue il Catanzaro e allontanando chi lo seguiva.
Analizzare il match con il Martina dal punto di vista tecnico è impossibile, perché se una squadra non entra in campo con la giusta tensione, il risultato non può che essere negativo e le assenze di qualche calciatore, pur se importante in una rosa ristretta come quella consegnataci da Cosentino, non sono una giustificazione.
Abbiamo visto bidoni onorare la maglia del Catanzaro, e se questo non avviene in una gara che lo stesso tecnico definisce “quasi decisiva”, allora il campanello d’allarme inizia a suonare.
Può apparire retorico, ma la situazione richiede coesione. I tifosi del Catanzaro non sono per nulla sciocchi, hanno compreso che la stagione è di quelle complicate e che senza gli occhi della tigre, i play-out saranno una logica conseguenza.
La stessa consapevolezza non sembra però animare le intenzioni della società. Tra le ipotesi di rilancio e una conferenza stampa annunciata e mai tenuta, c’è una Lega Pro da difendere con le unghie e con i denti.
Il tempo della resa dei conti, presto o tardi, arriverà. Se un feeling con la piazza ancora esiste lo scopriremo a breve. Farlo con la Lega Pro in tasca è un imperativo.
Nel frattempo, lottare per una salvezza stentata rappresenta un’umiliazione infinita, facilmente evitabile se si fosse riempito di contenuti l’ormai famigerato comunicato del rinnovo di Erra.
Indirizzare lo scontento verso squadra e staff tecnico sarebbe sbagliato, soprattutto alla luce del percorso di crescita iniziato dalla gara d’andata contro il Matera. Pur con l’anemia d’attacco e con qualche sostituzione non condivisa, si è parlato di calcio e visto a tratti anche bel gioco.
Sembrerà riduttivo, ma vista l’attuale situazione, questo è l’unico appiglio al quale aggrapparsi per sperare ancora nella salvezza.
Si dovrebbe provare vergogna, ma ci viene difficile pensando a cosa sia stato il Catanzaro. Qualcuno potrebbe accusarci di vivere nel passato, di essere fuori dal mondo, di alimentare sogni ormai svaniti.
Probabilmente è così. Ma noi crediamo che il passato conti ancora qualcosa, e che onorarlo sia l’obiettivo minimo di chiunque rappresenti la gloriosa società giallorossa.
Sbaglia chi crede che la tifoseria giallorossa sia rassegnata ad un destino di quarta serie. Sbaglia di grosso, e dovrà renderne conto, alla città e alla storia.
Salvatore Ferragina