Se n’è andato Bruno Bolchi in una notte di settembre, a Firenze. A poca distanza da Pieve a Nievole, nel pistoiese, il borgo mediceo dove aveva deciso di passare l’ultimo pezzo della sua vita.
Bolchi è stato un signor centrocampista. Che ha attraversato gli anni ’60, quelli del boom economico, per appendere gli scarpini al chiodo all’inizio dei ’70, nello stesso momento in cui iniziava la sua carriera in panchina come giocatore/allenatore della Pro Patria. Gianni Brera gli appioppò quel soprannome che lo dipingeva alla perfezione: Maciste. Bolchi era un gigante per l’epoca: un metro e ottanta in un calcio di mediani filiformi e ali velocissime.
Dietro a quel volto burbero e a quel fisico da lottatore c’era un uomo buono che divenne icona quando la Panini decise di stampare la sua prima figurina, proprio quella di Maciste. Bolchi era stato anche capitano dell’Inter di Herrera, con cui vinse lo scudetto-catapulta verso i trionfi europei e intercontinentali. Ma Maciste, dopo lo scudetto, decide di partire verso nuove avventure. Come farà per tutto il resto della sua vita, soprattutto quella da allenatore.
Bolchi ha allenato per quasi 40 anni, fino al 2007, vagabondando su e giù per lo stivale, in cerca di soddisfazioni ma soprattutto guidato da quella incredibile passione per il calcio. Ha allenato in tutte le categorie, sempre con la stessa filosofia. Le sue squadre erano chiuse, ruvide, semplici, poco propense al calcio-champagne. Per un lunghissimo periodo, l’ultimo della sua carriera, era diventato l’uomo dei cambi in corsa. Se esoneravi un allenatore da qualche parte della penisola, il primo nome che ti veniva in mente era Bolchi.
Così, nel suo girovagare per l’Italia, un giorno di febbraio del 2005, a 65 anni, approdò a Catanzaro, alla corte non proprio lussureggiante di Poggi e Parente, nella prima stagione dei giallorossi in B dopo anni di inferno. Una stagione nata con tante speranze visti i curriculum dei calciatori in squadra (Grava, Dal Canto, Carbone, Leon, Corona, Cammarata e così via). Sappiamo bene, purtroppo, la fine di quella storia.
Maciste arriva a Catanzaro con la fama di sergente di ferro, ma con l’etichetta di “uomo delle salvezze impossibili”. Alla sua prima seduta d’allenamento è accolto da un buon numero di tifosi che lo acclamano e lo esortano a salvare i giallorossi. Bolchi prende il posto dell’odiatissimo e contestatissimo Gigi Cagni, uscito sotto una valanga d’insulti dei Distinti alla fine della partita persa 2-3 con l’Ascoli. Insieme a lui, come secondo, il fido Walter Ciappi, ex portiere del Campobasso.
Davanti 17 partite di speranza, ma l’esordio è scioccante. Una sconfitta durissima contro il derelitto Crotone di Agostinelli, che annienta per 3-0 una squadra senza mordente, senza gioco ma soprattutto senza soldi. Il calvario proseguirà senza interruzioni. Il mago Maciste non può fare miracoli. Resta sulla panchina giallorossa fino a fine campionato e chiude all’ultimo posto in classifica con 5 pareggi e 12 sconfitte. Neanche una vittoria, neanche un sussulto. Tutti noi avremmo poi scoperto perché.
Nonostante tutto, ricordiamo Bolchi con affetto. Per quello che ha rappresentato nel calcio italiano e per i suoi giri in città con la famosissima Mini Cooper gialla destinata dall’allegra società dell’epoca a una lotteria.
Di riffa o di raffa buon viaggio Maciste!
Il duo Parente Poggi meglio non rivangare…….R.i.p. Maciste….
Grande Maciste, rimise titolare Re Girogio Corona, rilegato in panchina da quella specie di allenatore di Gigi Cagni, finendo la stagione con 14 goal se non sbaglio, ottimo bottino per quella squadraccia
Ricordi bene Stef quella sottospecie di allenatore sosteneva che Corona non era giocatore di serie B…..Cagni Poggi e Parente il trio delle meraviglie…..