Senti la parola Benevento e ti vengono in mente tante partite, incollate alla memoria come le magliette sudate a fine partita. Tuo nonno ricorda i campi di terra di 60 anni fa quando il Catanzaro batteva il Benevento di Oronzo Pugliese con D’Avino e Codeluppi. Tuo padre può raccontarti di quell’autogol di Orati (all’epoca ancora in Campania) a tre minuti dalla fine, 30 anni fa, che dava il via alla risalita in serie B con Gibbì Fabbri.
Tu invece sei più giovane, sei un figlio della serie C degli anni ’90. Al massimo potrai sorridere a quella doppietta dell’ex Ciccio Libro che ti fece sognare. Ma non avrai dimenticato gli imbarazzanti anni dei play-off, le coltellate di Aruta e quelle di Bertuccelli, l’odore acre dei lacrimogeni sul treno speciale, la battaglia con la Polizia in anni difficili. Anni in cui sapevi di partire battuto già da Catanzaro, ma comunque ti univi a migliaia di persone come te per una domenica di passione. Tuo figlio, invece, ti racconterà di un ragazzone dai capelli lunghi che fece riappassionare un popolo, quel Giorgio Corona che segnò un golazo al “Santa Colomba” e ci regalò un pareggio nell’anno dell’illusoria cavalcata con Braglia. Giorgio Corona, l’unico giocatore negli ultimi 30 anni, a restare scolpito nella memoria dei ragazzini.
Sono passati 10 anni da quel giorno di febbraio e il calcio è rimasto una passione per pochi, almeno qui in Italia. Il nostro Emanuele Ferragina scrive oggi su Il Fatto Quotidiano un bellissimo pezzo, un’ode al nostro calcio, al calcio minore, al calcio di periferia, al calcio della gente. Scrive Emanuele che “il calcio resta libertà di espressione, poesia di resistenza” perché “resiste, contro ogni aspettativa razionale, il senso di attaccamento e appartenenza. Un senso di appartenenza viscerale più vecchio dei nostri anni“. Citando il sempreverde , vero e proprio manifesto del calcio a Catanzaro.
Ecco, Benevento non è Torino, Milano o Roma. Non ricorda la serie A, né la serie B. Ma Benevento è una sorta di luogo virtuale della memoria, un crocevia di generazioni di tifosi giallorossi, un posto che tutti possono raccontare per esserci stati almeno una volta al seguito delle Aquile.
Benevento è anche un posto che ha dedicato un meraviglioso striscione al nostro Carlo La Forza, scomparso in quel maledetto giorno di settembre. La sua storia fece il giro dell’Italia in poche ore. I beneventani, la domenica successiva, appesero il loro tributo fuori dal “Santa Colomba”. Era il giorno di Lecce-Catanzaro e la squadra di Brevi giocò col lutto al braccio. Gli amici di Carlo, partiti da Torino per onorarne la memoria al “Via del Mare”, decisero di effettuare una deviazione perché era giusto ringraziare, anche solo con un passaggio, anche solo con una foto, chi aveva avuto compiuto quel piccolo gesto di solidarietà.
Sono queste le storie di cui il calcio si nutre. Al di là delle rivalità e delle tessere del tifoso, delle copertine patinate e delle musichette da Champions League, dei luccicanti stadi di proprietà e dei campi in erba sintetica. È la settimana in cui la famiglia di Carlo riceverà una targa ricordo . È la settimana in cui a Catanzaro, sotto lo stesso cielo, si ritroveranno vicini i nomi del presidentissimo Nicola Ceravolo, di Cesare Prandelli, allenatore della Nazionale che si appresta a vivere il sogno Mondiale, e di Carlo. Qualcosa di particolare, di magico. In una città che di calcio ha vissuto, vive e vivrà per sempre. Grazie ai ricordi di mille battaglie e di mille storie, grazie a un presente di dignità e, chissà, forse anche a un futuro di successi. Con buona pace di una classe dirigente misera e squallida, che ci fa vergognare tutti i maledetti giorni e che ha provato più volte a cancellare il nostro Catanzaro e il suo tempio nell’inettitudine dell’amministrazione quotidiana.
Ivan Pugliese