L’ultimo affare: i call center. Sì perché quella della potentissima cosca Bellocco di Rosarno, è una ‘ndrangheta che diversifica. E se in Calabria i boss regnano da imperatori e preparano faide in cui, sentenziano le donne di mafia, a morire dovranno essere “tutti, anche i minorenni”, in Lombardia si dedicano al business. Legale e milionario. Come dimostra la vicenda della Blue call srl, azienda specializzata nella gestione di call center con il centro direttivo a Cernusco sul Naviglio e sedi operative in tutta Italia (anche in Calabria, naturalmente). Un’impresa florida che solo nel 2010 ha chiuso un fatturato da 13 milioni di euro, facendosi segnalare come leader del settore. Un gioiellino, dunque. Gestito da Andrea Ruffino, giovane imprenditore nato a Ivrea, il quale, agli inizi del 2011, apre le porte a un emissario dei boss. Finirà per cedere le quote. Regalando ai boss un vero bancomat cui accedere in ogni momento, ma soprattutto la possibilità di controllare un ampio consenso sociale attraverso le assunzioni. Un’arma formidabile anche per la gestione di pacchetti elettorali. Insomma affari al nord e controllo del territorio al sud. Il tutto sulla rotta Rosarno-Milano e ritorno. Questa la fotografia scattata dalle procure di Reggio Calabria e Milano che all’alba di questa mattina hanno dato esecuzione a 23 arresti tra Calabria per associazione mafiosa e Lombardia per intestazione fittizia di beni, accusa quest’ultima aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso. Tra questi anche i soci della stessa Blue call.
“LE AZIONI NON SI CONTANO, SI PESANO E LE MI PESANO DI PIU’”
Per comprendere il disegno basta leggere i capi d’imputazione. A Rosarno la mafia è armata. Mentre a Milano, questa stessa ‘ndrangheta (ben diversa da quella rappresentata dall’inchiesta Infinito) non spara, usa il computer e si appoggia a veri e propri intermediari del crimine. Gente insospettabile che, come in questo caso, prende contatti e mette in comunicazioni gli imprenditori con i boss. Carlo Antonio Longo, originario di Galatro (Reggio Calabria), è, infatti, il referente dei Bellocco al nord. Mega villa in Svizzera, titolare di un’azienda edile (chiusa nel gennaio scorso) schermata da un limited londinese, Longo è un uomo di mafia, violento e deciso, ma è anche un broker, capace di trattare con gli imprenditori del nord. Talmente sottile da minacciarli, citando a memoria una delle storiche frasi di Enrico Cuccia, per decenni eminenza grigia della finanza italiana. Dirà Longo all’imprenditore: “Le azioni non si contano, ma si pesano, e le mie pesano di più!”. Gli uomini del Gico guidato dal comandante Nicola Bia, ascoltano queste parole il 16 settembre 2011, periodo in cui la ‘ndrangheta si accinge a fare il passo definitivo: prendersi tutta l’azienda che in quel periodo conta oltre mille dipendenti.
L’IMPRENDITORE: “HO PRESO LE BOTTE, QUEL BASTARDO, CON IL COLTELLO ANCHE”
L’atto finale solo quattro giorni dopo, quando Andrea Ruffino sarà convocato da Longo e soci nella sede operativa di Cernusco sul naviglio. Nella saletta ci sono una decina di persone, gente vicina alla cosca Bellocco, persone assunte in società senza le minime credenziali. In questo momento Longo regola i conti o, come dice lui, “taglia i rami secchi”. L’imprenditore di Ivrea viene massacrato di botte, dopodiché, con il coltello puntato alla gola, verrà “convinto” a cedere tutte le sue quote a una società preparata ad hoc dalla ‘ndrangheta. Uscito da quell’incontro, la vittima chiama subito la sua fidanzata per sfogarsi. “Ho preso le botte (…) mi ha dato una botta che sento malissimo adesso. Quel bastardo, guarda. Con il coltello anche, guarda (…) quello che dovevo raggiungere l’ho raggiunto ma fanno schifo. Sono uomini di merda. Ti giuro non sto sentendo da un orecchio”. Ruffino è stato massacrato. Però è sollevato, perché ha ottenuto la promessa di un minimo pagamento delle sue quote. Pagamento, che, alla maniera calabrese, non arriverà mai. Le conversazioni dei giorni successivi confermano il quadro agli investigatori. Un impiegato delle sue società vedendo Ruffino con l’occhio pesto gli consiglia di andare in ospedale. “Sì – risponde – e cosa dico che Longo mi ha fatto un’estorsione”. Il vaso è pieno. Lo sfogo arriva subito dopo: “Basta con questa ‘ndrangheta – dice l’ex titolare della Blue call – che si pigliassero tutto”.
UMBERTO BELLOCCO, IL PICCOLO PRINCIPE DELLA ‘NDRANGHETA
Eppure, mesi prima, l’imprenditore piemontese non la pensava così. Tutto inizia nel dicembre 2011, quando Emilio Fratto, commercialista con conoscenze importanti in ambito mafioso, pensa di rientrare da un credito che ha con Ruffino proponendo l’ingresso di nuovi soci nella Blue call. In questo modo, lo stesso Fratto crede di potersi liberare di un debito a sua volta contratto con la cosca Bellocco. Succede tutto velocemente. “C’è da fare questa cosa”, dice Fratto a Longo che prende tempo e riporta la possibilità a Umberto Belloco, il giovane e capriccioso principe del clan, il quale entrerà con entrambi i piedi nella vicenda fino ad essere il regista ultimo e questo senza aver la minima professionalità. Farà di più durante la latitanza terminata nel luglio scorso – sarà arrestato a Roma nel luglio scorso – il giovane Bellocco, da fuggiasco, percepirà un regolare stipendio Ruffino, oltre naturalmente ai vari benefit per allietare la latitanza.
LA SCALATA ALLA SOCIETA’: QUESTIONE DI PANZA E DI PRESENZA
La vicenda, quindi, nasce per un debito-credito. Ruffino, del resto, non si oppone. Anche perché, emerge dalle indagini, già sotto scacco da uomini legati ai clan di isola Capo Rizzuto. Quello che appare chiarissimo è il metodo con cui la ‘ndrangheta prima entra e poi conquista l’azienda. Longo, introdotto da Fratto, e per conto dei Bellocco, porta in società una serie di persone fino ad aver, inizialmente, il 30%. Questo, però, è solo il prologo di una scalata rapidissima. Tanto che lo stesso Umberto Bellocco intercettato dice: “Tu pensa che dove lavoro io ci sono 40 ragazzi…45…A Cernusco gestisco un Call-Center”. Insomma, il progetto mafioso va a gonfie vele e a costo zero. Longo è chiarissimo: “I soldi noi non li abbiamo messi”. E dunque? Prosegue: “Io non metto niente io prendo”. I Bellocco dunque cosa mettono. “La presenza – ribadisce Longo – panza e presenza”. L’espressione tipicamente mafiosa viene tradotta dagli investigatori: “I Bellocco, una volta entrati a far parte della società con un quota minoritaria (30%), stavano cercando di acquisirne il controllo con metodologie che facevano leva solo sul potere di intimidazione derivante dalla loro appartenenza alla ‘ndrangheta”. Panza e presenza appunto. Tanto basta “per prendersi il lavoro di una vita”, si sfoga così uno dei soci della Blue call. “Non è solo, il futuro dell’azienda (….) Stai sotto scacco per tutta la vita! Come dici tu: Non c’è via d’uscita , questi qua… E’ impossibile, capito. Oggi vogliono questo e domani cosa vogliono!? … E dopodomani cosa vogliono, scusami”.
“LORO SONO COME DIO CHE POSSONO DECIDERE TUTTO”
Ruffino un po’ intuisce, un po’ no. Addirittura pensa di estromettere i calabresi, liquidando la loro parte. Non sarà così, naturalmente. E Fratto lo avverte fin da subito: “Per il resto dei nostri giorni non ce li togliamo più dai piedi. Tu pensa di giocare, con loro, sulla lama del rasoio: poi, quando ti tagli, ti renderai conto delle mie parole (…) Io ti sto dicendo che questa razza la conosco, tu no”. L’imprenditore, dunque, sta giocando con il fuoco. Però insiste: “La morte – dice – non è il peggiore dei mali”. Fratto è chiarissimo: “Tu sei un pazzo”. E allora l’altro chiede: “Loro sono come Dio che possono decidere che tutte le persone muoiono no?”
L’imprenditore agganciato sa ma non si sgancia. Diventa complice. Ne è consapevole Ruffno che dice: “Io non voglio andare avanti con queste persone (…) stiamo puliti (…) e non rischiamo nessun 416bis”. Quindi ancora parole in libertà sul come liquidare questi calabresi. “Guarda io ho più soluzioni (…) mi sono rotto i coglioni io voglio stare separato perché voglio comandare io”. Tanto coraggio viene smorzato da una telefonata di Longo, il quale durante le festivita pasquali fa gli auguti a Ruffino. “Volevo salutarti (…) come stai (…) Insieme e alla tua famiglia, tanti auguri…Buona Pasqua, capito, fai una buona Pasqua e vivi felice e contento”.
SCHERMI SOCIETARI E ASSET MAFIOSI
Nonostante tutto Ruffino prosegue nel tentativo di liberarsi dei calabresi. Consapevole della mafiosità dei suoi interlocutori, ma ancora non del tutto consapevole della loro intelligenza criminale, chiude la Blue call e splitta l’intero assett (call center e immobiliare) su due società: la Future srl e la R&V. Nel frattempo, però, la ‘ndrangheta ha già creato una sua società schermo, la Alveberg con sede a Milano in via Santa Maria alla porta. Tra i soci c’è la anche la fidanzata di Longo. E’ dentro questa srl che confluiranno tutte le quote dell’imprenditore, dopo il pestaggio del 20 settembre.
NELLA FAIDA UCCIDERE ANCHE DONNE E BAMBINI
Questa è la ‘ndrangheta che colonizza Milano. Una ‘ndrangheta violenta e vorace. Capace di prendersi un’azienda da 13 milioni di fatturato senza fare rumore. E di progettare una faida dove coinvolgere anche donne e bambini. L’incredibile vicenda è narrata nella parte calabrese dell’inchiesta. E nasce da due omicidi di affiliati alla cosca. I sospetti ricadono sul clan Pesce, un tempo alleati con i Bellocco. Tanto che il giovane erede del casato mafioso dice, intercettato, “Rosarno è nostro e deve essere per sempre nostro…sennò non è di nessuno”. Il rischio di una faida è concreto. Tanto che Umberto ne parla con la madre Maria Teresa D’Agostino. “Una volta – dice la donna – che partiamo, partiamo tutti, una volta che siamo inguaiati, ci inguaiamo tutti….dopo, o loro o noi o noi, vediamo chi vince la guerra, dopo…pure ai minorenni”. E ancora: “Pari pari, a chi ha colpa e a chi non ha colpa, non mi interessa niente…e femmine”.
Autore: Davide Milosa