Il Rompicalcio

BANANA REPUBLIC

Scritto da Redazione
Tra inettitudine e servilismo: fatti e misfatti di tre mesi di crisi giallorossa

 

È il momento di tirare una linea. Netta. Dopo tre mesi scandalosi di “”; dopo quattro anni vomitevoli di Lodo Petrucci; dopo vent’anni umilianti ad elemosinare un pareggio sui campetti di Licata, di Tricase, di Sant’Anastasia, di Santa Maria Capua Vetere, di Aversa e di Melfi; dopo una serie interminabile di porcherie (dallo scippo del Nola al 4-0 del “Flaminio”, passando per le riffe e il fallimento del 2006). La concorrenza per il trofeo “peggiore gestione societaria” dell’ultimo ventennio è folta e agguerrita. Schiattare in C2 fino alla putrefazione del cadavere giallorosso sembra essere l’unico sentiero percorso.

DOMANDE SENZA RISPOSTA –Ecco, forse è questo l’obiettivo anche oggi. E nessun vento di cambiamento. Sempre i soliti nomi, sempre i soliti giochi. Perché per arrivare a una certificazione del debito si è dovuti arrivare a fine luglio (sempre che sia stato fatto realmente)? Perché il passivo dell’Effeccì è stato più ballerino dell’intero corpo del Bolshoi? Perché mutava a secondo dell’interlocutore e del giorno della settimana? Perché Noto e Colosimo sono scappati? Perché Cosentino è scappato? È vero che quella cordata aveva messo sul piatto soldi freschi proponendo ad una società ridotta sul lastrico un aumento di capitale a 500.000 euro che è stato rifiutato? Perché rimettere a disposizione di eventuali acquirenti, due giorni dopo il “Flaminio”, le azioni ricapitalizzate appena due giorni prima del “Flaminio”?

IL RUOLO DELLA POLITICA – Tutte domande che meriterebbero una risposta. Da parte dei soci, ma non solo. Una volta commissariata la società, ancor di più dopo l’ennesimo decisivo contributo pubblico, anche la politica avrebbe dovuto offrire risposte. Avrebbe dovuto svolgere quel fondamentale ruolo di garanzia e di mediazione tra vecchia proprietà e possibili acquirenti, portando allo scoperto eventuali ostacoli frapposti alla conclusione delle trattative. Gli imprenditori non avevano realmente intenzione di comprare? I vecchi soci non avevano realmente intenzione di vendere? Ora che anche la meteora-Cosentino si è dissolta, è il momento di chiudere il circo che va in scena da anni nei campetti di provincia. Le parole dell’imprenditore reggino suonano come una sconfitta per tutta la città. Chiare, lineari come le condizioni che aveva posto per il suo ingresso in società. Erano condizioni accettabili e realizzabili? Sì, allora si doveva lavorare per soddisfarle. No, allora si doveva chiudere subito la porta e sterzare verso altre direzioni, senza perdere tempo. Invece no. Si è continuato a seminare false informazioni. Fonti giornalistiche attendibilissime – come sarebbero in ogni luogo d’Italia assessori regionali e comunali, presidenti di Provincia e parlamentari che seguono da vicino le trattative – hanno sparso melassa illudendo un’intera tifoseria. Una classe politica che ha cercato di mettere il cappello sull’operazione, salvo smarcarsi rapidamente una volta vista la brutta piega. Diventando irrimediabilmente complice di questo scempio gestionale.

LE RESPONSABILITÀ –Ma le responsabilità restano lì. E pesano come macigni. Quelle collettive e quelle personali. Resta l’incapacità collettiva di trovare un’alternativa alla società attuale, sovvenzionata pesantemente ma che ha rimediato figuracce in ogni settore della gestione, a quella amministrativa (“Riaccendiamo la luce”). Bisognava convincere Aiello, Bove e Soluri a uscire di scena ben prima dei play-off, o in alternativa abbandonare da subito l’Effeccì al suo destino segnato di fallimento. Com’è successo a Mantova, tanto per fare un esempio. Invece si è scelto di prolungarne l’agonia con soldi pubblici. Resta l’incapacità collettivadi convincere almeno un gruppo di 3-4 imprenditori da 100.000 euro l’anno che potessero dare una mano a Cosentino. È mai possibile che un’intera classe politica non sia riuscita a trovarli? Resta il terribile sospetto che non abbia voluto. In ogni caso, un disastro.

LE SCUSE DI PUNTONET – Resta la responsabilità collettiva di una , che ha elargito uno stanziamento a una società piena di debiti per consentirne l’iscrizione al campionato. L’errore della tifoseria è stato non combattere apertamente questa operazione dall’inizio, ma “digerirla” per il bene supremo e per la salvezza del Catanzaro, sperando nel messia.Idem per i giornali. Anche noi di UsCatanzaro.net, pur tra i pochi a porre delle domande e dei dubbi, ci prendiamo le nostre responsabilità e ci scusiamo con i lettori, con i tifosi e con i cittadini per non averla combattuta dall’inizio con tutte le nostre forze e con i pochi mezzi che abbiamo: le parole. Chissà se qualcun altro avrà il coraggio di scusarsi, per questo scempio cui stiamo assistendo ormai da anni. Sicuramente non dovranno scusarsi quei pochi, intrepidi tifosi che hanno seguito tutta la querelle societaria con una passione che meriterebbe altri scenari. Quei tifosi che avranno fatto anche degli errori, ma che per cercare di stimolare, di sensibilizzare, di responsabilizzare la classe politica hanno sopportato la grandine e il sole cocente. Quei tifosi che hanno contestato duramente ma hanno anche portato in piazza . Solo per stare vicino al “loro” Catanzaro. Quei tifosi che oggi sono incazzati e che invitiamo ad andare avanti nella loro battaglia, a “chiedere il conto” delle responsabilità di questa situazione. Senza paura. E avranno il nostro sostegno.

IL BLUFF TRIBUNA GIANNA – Oggi è possibile affermare, senza tema di smentite, che è quanto di peggio e di più fallimentare si ricordi a memoria d’uomo. Non serve affannarsi a blaterare che il suo unico scopo era quello di iscrivere il Catanzaro al campionato. Intanto perché sono stati usati soldi pubblici per coprire i buchi di bilancio di una società privata. Poi perché il vero obiettivo doveva essere trovare una nuova proprietà. Possibile che la Tribuna Gianna non sia riuscita a strappare una procura dalla vecchia proprietà per cedere a prezzo simbolico le quote, come i soci erano disposti a fare? Che dicono il sindaco Olivo e la presidente Ferro, “padrini” dell’operazione? Che dice l’assessore Talarico, “sponsor” della Tribuna Gianna? Sono pronti anche loro ad accollarsi le proprie responsabilità? Sono pronti, perlomeno, a rendere pubbliche le spese sostenute dall’Effeccì con i contributi pubblici versati? A cosa sono serviti quei soldi? Perché tutti hanno ignorato il fatto che i vari acquirenti non erano disposti a entrare in società con Aiello, Bove e Soluri?

IL RUOLO DI TALLINI – Scaricare oggi le responsabilità su Cosentino, tirandolo per la giacchetta, non ha senso. Né da parte delle istituzioni (che ancora non lo hanno fatto), né da parte di Aiello, Bove e Soluri. Le parole del patron di Gicos smentiscono clamorosamente , i quali in un comunicato avevano precisato «che (tra) le condizioni poste sin dall’inizio dal signor Cosentino […] non c’è mai stata quella (l’on. Tallini lo può confermare) della uscita di scena di nessuno dei vecchi soci». L’imprenditore reggino, che già aveva chiesto «nuovi e solidi imprenditori catanzaresi» nelle precedenti uscite, lo ribadisce nell’intervista pubblicata stamattina dalla Gazzetta del Sud, aggiungendo che si sarebbe aspettato dai vecchi soci «ben altro», ad esempio «il ripianamento dei debiti superiori al milione di euro». Forse Cosentino non era stato avvisato del fatto che l’Effeccì andava avanti da mesi senza pagare stipendi, bollette e contributi. O forse il messaggio è rivolto alle istituzioni, vero on. Tallini? Tallini spieghi la sua verità, altrimenti il cerino gli rimarrà in mano. È lui la figura-cardine di questa operazione, colui che ha tessuto il filo della mediazione tra Gicos e il mondo catanzarese. È lui che aprì le danze con . Fallita. È lui che ha seguito questa trattativa con Cosentino. Fallita. Ci spieghi.

IL RUOLO DEGLI ALTRI SOGGETTI –E ci spieghi l’assessore Gatto se . Ci spieghi l’onorevole Traversa dov’è finito il suo attivismo di aprile, quando aprì il primo tavolo istituzionale ai tifosi, facendo presagire l’intervento di chissà quali imprenditori. L’attivismo si è fermato sugli spalti del “Flaminio”? Oppure sta tenendo ben coperte le sue carte per affossare definitivamente un’amministrazione comunque agli sgoccioli, ed è pronto a tirar fuori l’asso di denari in vista della sua “trionfale” campagna elettorale della prossima primavera? No, perché a noi ormai è rimasta solo la memoria e ce lo ricorderemo. Così come ci ricordiamo di quanti e quali danni ha compiuto l’intervento a gamba tesa, all’ultimo secondo, , in occasione dell’assegnazione del Lodo Petrucci. Anche lì lo stesso ritornello: evitare che investitori (in quel caso cosentini, al plurale) acquisissero la società. Meglio i “soldi” dell’illustre imprenditore Coppola (smarcatosi dopo qualche mese), con il paravento del notaio Guglielmo.

IL FALLIMENTO DELLA POLITICA NEL CALCIO – Dietro a tutta questa vicenda resta l’ombra della guerra di posizionamento in vista delle Comunali del prossimo anno. Altra responsabilità collettiva. È questo che fa più rabbia. Il soccorso politico al Catanzaro e l’utilizzo politico del Catanzaro. È questo il nodo che bisognava sciogliere. Ma anche stavolta si è persa un’altra occasione. Forse l’ultima. E prima che il Catanzaro dei Ferrara, dei Catalano e di Cittadino inizi la stagione in un oceano di indifferenza, sia chiaro che nessun altro obolo pubblico potrà essere destinato all’ologramma Effeccì che continua a smaterializzarsi davanti ai nostri occhi increduli. . Abbandonando quella perfida illusione di dare una lustratina a un blasone impolverato dal tempo e ammaccato dalle batoste contro squadre che una volta erano solo sparring partner del mercoledì.

È il momento di tirare una linea. E voltare pagina, rialzando la testa. Con o senza il Catanzaro.

Francesco Ceniti

Salvatore Ferragina

Giuseppe Mangialavori

Tony Marchese

Ivan Pugliese

Massimo Saverino

Fabrizio Scarfone

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