“Se Steve Jobs fosse nato a Napoli” è il titolo del libro di Antonio Menna edito da Sperling & Kupfer, che ha decretato il successo quasi inconsapevole dell’autore, ottenendo ampio consenso soprattutto tra il pubblico giovane. Collaboratore del quotidiano “Il Mattino” di Napoli e di altre riviste nazionali, oltre che autore del suo seguitissimo blog, Menna, ha alle spalle altre due esperienze di scrittura, “Cocaina e cioccolato” e “Baciami molto”.
Con la verve tipica di una mente arguta mista al consueto vigore napoletano, sabato ha incontrato i suoi lettori nel corso degli interessanti incontri promossi dalla Libreria Ubik di Catanzaro Lido, raccontando il contenuto del suo lavoro con quella amarezza velata dalla tipica ironia partenopea, analizzando due mondi, quello dei suoi protagonisti e del mitico Jobs, assolutamente lontani e diversi con opportunità e prospettive diametralmente opposte.
Alle domande volutamente provocatorie di Nunzio Belcaro, ideatore degli incontri letterari in libreria, il giornalista ha risposto con una sorniona analisi: “In America c’è stato chi ha creduto nella idea rivoluzionaria di Jobs e Wozniak, investendo duecentocinquantamila dollari. In Italia oltre alle banche e alla lunga burocrazia, anche il vicino cerca di impedire che le buone idee trovino la giusta realizzazione. A tutto questo aggiungeteci il male maggiore: la camorra”.
La storia dei due protagonisti è in fondo la storia di tutti coloro che, decidendo caparbiamente di portare avanti le proprie idee, si scontrano con la realtà di un territorio non facile, che per comodità e per maggiore conoscenza l’autore identifica con la città di Napoli, ma che sarebbe potuta accadere in qualsiasi altra città Italiana e del meridione in particolare.
E’ la vicenda di due ragazzi nati nei famigerati ‘quartieri spagnoli’, la cui idea imprenditoriale si scontra con la burocrazia e nelle cui maglie rimane impigliata. Nelle pagine di Menna c’è una volontà di denuncia contro il sistema e contro chi, prescindendo da essenziali dati di fatto, attribuisce le colpe della precarietà, della mancanza di sbocchi lavorativi e della carenza di interventi strutturali incentivanti che spesso determinano abitudini delle persone.
Prendendo spunto da un passo del libro, Belcaro ha sollecitato l’attenzione su questo punto e sull’attaccamento dei giovani alla famiglia sottolineando come a volte siano proprio i genitori a tarpare le ali ai propri figli nel tentativo di offrire loro un futuro rassicurante o corrispondente alle loro aspettative.
Si è affrontato anche il concetto tutto italiano di meritocrazia, il cui metro di misura spesso non è il talento o la leadership, ma bensì la capacità di essere “meno scomodi possibile”. L’ironia caratteristica dell’autore ha intrattenuto piacevolmente il pubblico, lasciando però molto spazio alla riflessione ed alla volontà di riscatto testimoniate dai numerosi interventi.
Un incontro stimolante, come lo sarà di certo quello del prossimo giovedì, 23 Febbraio, con l’autore di “Terroni” Pino Aprile per parlare di “Giù dal Sud”, il suo nuovo best seller.