Un omicidio strategico, un messaggio di avvertimento ”perché tutto resti come prima e nulla cambi”, un delitto eccellente che ”fatte le debite proporzioni può avvicinarsi a quello del presidente Aldo Moro”. E’ stata la ‘ndrangheta che vuole imporsi come ”soggetto politico” a uccidere il 16 ottobre 2005 Francesco Fortugno, vicepresidente del consiglio regionale della Calabria, colpito perché ”simbolo”, ammazzato proprio nel giorno in cui il popolo del centrosinistra andava a scegliere il suo candidato premier. E’ quanto emerge dal rapporto annuale della Procura nazionale Antimafia, il primo firmato da Piero Grasso, di cui oggi ”la Repubblica” pubblica qualche stralcio.
La relazione della Superprocura ricostruisce la sua attività dal primo luglio 2004 al 30 giugno 2005, ma il capitolo sul ”caso Fortugno”, spiega ”la Repubblica”, è stato inserito volutamente fuori tempo massimo perché segna una svolta nelle strategie del crimine organizzato. Secondo i magistrati dell’Antimafia, ”fatte le debite proporzioni” l’omicidio Fortugno può avvicinarsi al delitto Moro perché ”anche la ‘ndrangheta ha voluto dimostrare la propria geometrica capacità militare di colpire nei modi e nei tempi prescelti”.
”Non siamo più – spiegano i magistrati dell’Antimafia – all’interno della tradizionale categoria mafia-politica, ma in una nuova dimensione, quella della mafia che tende a farsi soggetto politico essa stessa. E che come tale rivendica ruolo e visibilità , per contare nelle decisioni strategiche che determinano la spesa regionale, in particolare quella della sanità ”. Secondo la relazione firmata da Piero Grasso, dunque, ”Fortugno è stato colpito in relazione alla sua collocazione politico-istituzionale, quale simbolo di una politica regionale alla ricerca di una via nuova e diversa di governare, lontana da compromissioni e cedimenti, chiusa a tentativi di infiltrazione”.
Il rapporto della procura di Grasso affronta anche le trasformazioni della Cosa nostra siciliana. Nel dossier si fa un’analisi di tutte le altre mafie, italiane e straniere. Si comincia dall’invasione dei cinesi, si racconta dei traffici dei russi, dell’aggressività dei clan albanesi. Molte le pagine riservate alla ”tratta degli esseri umani”. Il bilancio in 5 anni è di 661 procedimenti, 1779 indagati, 874 vittime di cui 301 minori. Ma è la ‘ndrangheta la prima mafia d’Italia, ”come associazione criminale e forza eversiva, tale da porre in pericolo la sicurezza del paese”. Con la riforma dell’ordinamento giudiziario non c’è più l’obbligo per la Superprocura di informare ogni anno il Parlamento delle sue attività e di quelle delle altre procure antimafia. ”Questa relazione – ha scritto Grasso – è stata elaborata e spedita in Cassazione perché lo ritenevamo doveroso e opportuno”.
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