Il Consiglio dei ministri di mercoledì 22 novembre, su proposta del ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha deliberato lo scioglimento, a norma dell’articolo 143 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL), dei Consigli comunali di Marina di Gioiosa Jonica, Lamezia Terme, Cassano all’Ionio, Isola di Capo Rizzuto e Petronà, nei quali – si legge nel comunicato finale diffuso da Palazzo Chigi – sono stati accertati condizionamenti da parte della criminalità organizzata.
Per la terza volta il Comune di Lamezia Terme, terza città della Calabria, con i suoi 70 mila abitanti, è stato sciolto per infiltrazioni mafiose.
A far nascere i sospetti sulle presunte infiltrazioni della cosche locali al Comune lametino, è stata l’operazione “Crisalide” contro le famiglie Cerra-Torcasio-Gualtieri, scattata lo scorso 23 maggio. Dopo la retata ordinata dalla procura antimafia di Catanzaro il prefetto Luisa Latella ha inviato la commissione d’accesso per verificare il tasso d’inquinamento mafioso della amministrazione guidata da Paolo Mascaro, avvocato penalista. Altre avvisaglie e ombre sul comune lametino si erano appalesate durante la campagna elettorale.
Nei giorni scorsi il primo cittadino aveva iniziato lo sciopero della fame per protestare contro l’ipotesi dello scioglimento del suo Comune. E non aveva risparmiato di fare la voce grossa contro Rosy Bindi, presidente della Commissione antimafia che, in Calabria per una visita istituzionale, si era spinta ad affermare che «esistono i presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale di Lamezia».
Il sindaco era stato convocato martedì scorso dal prefetto di Catanzaro Luisa Latella per «una cortesia istituzionale» dopo l’inizio della sua protesta. Per Paolo Mascaro quella convocazione è stata una «pagliacciata» perché giunta in ritardo e senza neppure il riguardo di essere ascoltato sulle vicende che hanno portato allo scioglimento del consiglio comunale.