I calabresi in Emilia «erano diventati come sono i musulmani adesso. Dal 2010, senza che fosse successo niente di diverso rispetto a prima, comparivano tutti i giorni su giornali e televisioni articoli che ci volevano ‘ndranghetisti, riciclatori, spacciatori di droga».
Lo avrebbe detto nell’interrogatorio durante l’udienza preliminare del processo Aemilia a Bologna, Gianluigi Sarcone, imputato per associazione a delinquere di tipo mafioso e fratello di Nicolino Sarcone, ritenuto il capo dell’organizzazione nel mirino della Dda.
Il sodalizio, legato alla cosca Grande Aracri di Cutro, ha per i pm epicentro a Reggio Emilia. L’imprenditore ne avrebbe parlato nell’udienza a porte chiuse, con riferimento a una sorta di persecuzione nei confronti dei calabresi.
E dicendo, in sostanza, che il metodo utilizzato per allontanarli dagli appalti pubblici era quello di farli apparire tutti mafiosi.
I suoi difensori, gli avvocati Stella Pancari e Stefano Vezzadini, hanno chiesto per lui al Gup Francesca Zavaglia il non luogo a procedere.
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