Sono le storie degli uomini che hanno vestito la casacca giallorossa a rendere interessante anche il racconto degli anni più bui del calcio catanzarese.
Tra questi Luca Lugnan, una sola stagione con le aquile, un tempo sufficiente a lasciare il segno e un pezzo di cuore sui tre colli.
Lo abbiamo intervistato, gli abbiamo chiesto del passato, di cosa ha rappresentato il Catanzaro, del perché oggi come allora si naviga a vista in serie C. Ecco le sue risposte.
Luca, non possiamo che partire dalla stagione 2000/2001. Un anno indimenticabile macchiato da quella maledetta finale contro il Sora. Pensi ancora a quella sconfitta? Cos’ha significato per te e per la tua carriera?
«Sono uno che non sopporta perdere di natura e quella sconfitta mi ha tormentato per il resto della carriera. Avevamo praticamente vinto il campionato, invece quella folata di vento, che ci tormentò per tutta la partita, è riuscita a portarci via un sogno che si è poi infranto ai supplementari. Sicuramente, se avessimo vinto, mi avrebbero rinnovato il contratto e avrei proseguito la mia carriera nel Catanzaro, una piazza importante e calda come piaceva a me».
E invece il ricordo più bello della tua stagione in giallorosso?
«Direi tutta la cavalcata del girone di ritorno che ci ha portato ai play-off».
Parliamo del presente. Cambiano giocatori, allenatori, dirigenti e presidenti, ma i giallorossi restano sempre intrappolati in Serie C. Secondo te, cosa manca alla piazza di Catanzaro per tornare nel calcio che conta?
«La differenza la fanno sempre le persone e la loro competenza. Credo ci sia bisogno di partire dalla società con un progetto e un programma ambizioso e quindi la scelta degli uomini che sposino annualmente questa causa penso sia fondamentale. Il binomio giocatori pubblico a Catanzaro, come in piazze importanti del Sud tipo Catania, Palermo, Messina, fanno la differenza. Il difficile credo sia trovare giocatori validi in C che psicologicamente reggano l’urto di una piazza come Catanzaro. Giocatori come me si esaltavano, mentre oggi i più provano apprensione».
Conosci qualcuno della dirigenza attuale? Vedi analogie o differenze con la dirigenza Mancuso di quella stagione?
«Ai miei tempi con la famiglia Mancuso c’era un rapporto molto familiare, sopratutto con il figlio Salvatore del quale ho un bel ricordo. Oggi non saprei dire perché non conosco nessuno e non ho contatti, se non il bellissimo rapporto con la tifoseria che è rimasto intatto ancor oggi dopo molti anni visti i numerosi messaggi d’affetto che mi arrivano sui social network».
Segui il Catanzaro e conosci le difficoltà del momento. La piazza teme la retrocessione nei dilettanti e si augura che il nuovo allenatore possa trasmettere le giuste motivazioni alla squadra. Ritieni che sia un problema tecnico o mentale?
«Non ho dati tecnici per dare una risposta. Mi dispiacerebbe molto se ciò accadesse. Credo comunque che oltre ad un problema mentale, che si innesca quando le cose non vanno bene in una piazza del genere, ci sia sicuramente qualche problema tecnico che potrebbe essere superato nella prossima sessione di calcio mercato se la società avrà la forza e la voglia di non arrendersi. In caso contrario, Lugnan allenatore in cnd a Catanzaro sarebbe onorato di allenare, ma speriamo che la squadra possa salvarsi e restare in Lega Pro, lo dico sopratutto per i tifosi che meriterebbero di vederlo almeno in serie B».
Qualche mese fa Domenico Giampà ha dichiarato di non vedere nei giovani calciatori di oggi la stessa fame, passione e disciplina di una volta. Cosa ne pensi?
«Condivido la sua opinione. Oggi i giovani sono figli della play station e della televisione, non hanno più quella voglia di lottare e sacrificarsi, cosa indispensabile per riuscire a fare il calciatore».
Da circa dieci anni alleni tra Lega Pro ed Eccellenza. In quale piazza sogni di ricoprire il ruolo di allenatore e quali sono i valori che cerci di trasmettere ai tuoi ragazzi?
«Certamente mi piacerebbe allenare nelle piazze più importanti in cui ho giocato, tra le quali Catania, Palermo e Catanzaro. Per quanto riguarda i valori ai miei ragazzi, cerco di trasmettere coraggio, lealtà, spirito di gruppo. Lottare senza mollare mai, un po’ quelle che erano le mie caratteristiche da calciatore, oltre ovviamente ad insegnare e trasmettere tutto quello che ho imparato dal calcio».
Ti manca qualcosa del calcio giocato?
«Tutto. Dallo spirito di competizione all’adrenalina che ti trasmette la tifoseria all’emozione del gol».
Chiudiamo con Dirty Soccer, l’ennesimo scandalo sul calcioscommesse che ha infagato l’immagine del calcio italiano. Esiste una cura o dobbiamo convivere con l’idea che le partite si possano truccare?
«È una realtà che non mi appartiene e sicuramente non fa parte del calcio pulito degli anni in cui ho giocato. Non mi è mai capitato di trovarmi in mezzo a situazioni simili anche perché col carattere che mi ritrovo avrei sicuramente ribaltato uno spogliatoio».
Foto di Alessandro Mazza
Perché tanto masochismo? Non ci bastano le sofferenze di questo campionato? Vi scongiuro, passateci qualcosa di allegro.
infatti, come se a noi non basta doversi ricordare sempre i vari play off persi.
Mah! Avrebbe sicuramente ribaltato lo spogliatoio ma a me i dubbi rimangono, soprattutto a rivedere quelle reti che mi fanno ancora male e che non mi convincono.