Quattro giornate. Trecentosessanta minuti. Tanto manca prima che cali il sipario su uno dei più controversi campionati di terza serie. Una riforma flop ha consegnato le dirette streaming, gli stadi vuoti e un torneo in cui da febbraio si timbra il cartellino in attesa dell’ombrellone.
Un po’ quello che è successo ieri tra Catanzaro e Messina. Due squadre spente, pur con obiettivi diversi, perfettamente in tema con l’atteggiamento da amichevole agostana andato in scena per novanta minuti. Effetti collaterali di un calcio in agonia.
«Prima c’era un’altra mentalità. Allo stadio vedevi quindicimila persone anche in serie C, oggi al massimo due o tremila». Se lo dice Giorgio Corona, che di anni ne ha quaranta, sarà pur vero. E proprio lui, con quel numero nove sulle spalle, è stato l’unico argomento di una domenica di metà aprile. Che piaccia o meno, gli applausi prima, durante e dopo il suo ingresso in campo, sono la testimonianza di quanto il calcio sia radicato nel cuore e negli animi di una tifoseria che, quando tutto sembra nero, si rifugia nei ricordi più belli per ritrovare la propria identità.
Non stupisce nemmeno la franchezza di Mimmo Giampà. Uno a cui il Catanzaro scorre nelle vene e ribolle il sangue quando ammette che i fischi del pubblico, dopo partite come queste, sono giusti e forse anche meritati. Avrebbe voluto lottare per qualcosa di diverso. Glielo leggi negli occhi.
Ma tant’è, non resta che stringere i denti e aspettare il campionato che verrà. Con quali aspettative lo dirà il tempo e Cosentino. Inutile ribadirlo: è lui il padrone. Schiavo di sentimenti da tifoso più di quanto ci si aspettasse da un imprenditore venuto su dal nulla. Sarà la sua componente emozionale a determinare le sorti di squadra, tecnici e società. Lo ha detto in modo chiaro Ambra al termine della partita. Lei è il volto pacato della famiglia Cosentino, sempre più in prima linea per limitare i giganteschi errori di comunicazione che di fatto hanno spazzato via l’empatia dei primi due anni.
Pazienza e scelte oculate le parole d’ordine per il presente. Società snella e basso profilo il mantra per il futuro.
Sullo sfondo la desolazione di uno stadio vuoto e mortificato da infiniti lavori di riqualificazione, una tifoseria svuotata dalla repressione e in perenne ricerca di identità, una città che brucia per mano della criminalità.
Al Catanzaro il compito più difficile: essere diverso dal contesto in cui opera. A queste latitudini il calcio è sempre stato un pretesto per sperare in un futuro migliore e avere un motivo per gonfiare il petto pensando a undici maglie giallorosse schierate su un prato verde. Nessuno chiede follie. È chiaro a tutti che la famiglia Cosentino garantirà la continuità fin quando rimarrà al timone, ma sarebbe bello che dopo tutte le incomprensioni e la cocente delusione di un campionato anonimo, questa società cercasse di interpretare nel migliore dei modi possibili i sentimenti di migliaia di persone.
Fino ad allora Forza Catanzaro. Sempre.
Purtroppo a cosentino è passata la voglia. È successo quello che tutti temevamo. Gli hanno fatto passare la voglia. L’avrebbero fatta passare a tutti. La piazza non è fatta solo di 3000 tifosi ma è fatta anche di bombaroli, ubriaconi pilotati, intenditor di pallone col senno di poi, imprenditori attenti a non sostenere la società e mestieranti della politica attenti a strumentalizzare l’uesse per fare incetta di voti. Basta guardare i distinti per capire che ha vinto il marcio e ha perso il Catanzaro. Un ringraziamento particolare va ai contestatori a prescindere per il loro prezioso contributo.
Non penso che Cosentino abbandonerà la società.<br />
Certo si deve chiedere chiarezza e programmazione, altrimenti si rischia nuovamente di azzerare tutto, di arrivare a luglio senza sapere cosa accadrà a settembre. Ci vuole anche una società più organizzata, altrimenti si rischia di sprecare un altro campionato.
Cosentino si è pentito e vorrebbe mollare, è inutile girarci intorno<br />
finalmente gli hanno aggiustato i tasti Ctrl + C / Ctrl + V (copy and past)